venerdì 19 febbraio 2010
Heligoland.
Qualche giorno fa ho acquistato (si, proprio acquistato: mi capita, sapete?) il nuovo album dei Massive Attack, che arriva dopo SETTE anni (!) dal precedente "100th Window" (se non consideriamo la colonna sonora di "Danny The Dog" del 2004 e il greatest hits "Collected" - con alcuni inediti - pubblicato nel 2006); in pratica, questo "Heligoland" (Virgin/Emi) è SOLO il loro quinto album in studio, e sembra così strano considerando la loro ventennale carriera, nonchè il peso e l'influenza che il collettivo di Bristol ha avuto su tutto il suono prodotto dagli anni '90 in poi, a livello mondiale.
I Massive Attack tornano dunque in grande, grandissima, forma. Robert "3D" Del Naja e Grant "Daddy G" Marshall di nuovo INSIEME, finalmente, da vecchi amici (su "Mezzanine" avevano lavorato separatamente, in tempi e studi differenti, senza incontrarsi quasi mai, mentre "100th Window" è stato addirittura realizzato per intero dal solo Del Naja) e - con loro - alcuni dei collaboratori di sempre e tanti importanti ospiti alla loro prima volta su questi solchi.
Tornano NON per stupire nuovamente, ma casomai per confermare la propria grandezza, permettendosi un album senza troppe sperimentazioni, con un grande ritorno alla melodia, meno cupo e "disturbato" delle ultime produzioni. Eclettico, raffinatissimo, con momenti di rara bellezza.
La sensazione è quella di un progetto che ha già dimostrato al mondo ciò che doveva dimostrare, e che adesso - mettetevi comodi e allacciate le cinture! - raccoglie i propri frutti, e (condividendo) ne gode per farne godere, ridefinendo alla perfezione ogni dettaglio compositivo, produttivo e sonoro.
Non che non manchi la loro abituale inquietudine, sia chiaro: "Pray for rain", che apre l'album con l'interpretazione di Tunde Adebimpe (dai TV On The Radio) ha un momento, intorno al suo quarto minuto, in cui un'apertura sonora (archi compresi) sembra portare luce nel buio, acqua nella terra arida, ma che poi - spiazzando l'apparente leggerezza - si interrompe improvvisamente per ripiombare nella siccità. E c'è un qualcosa in questa "danza della pioggia" che - forse nelle batterie metalliche, forse nella voce dello stesso Adebimpe - può ricordare il miglior Peter Gabriel.
Dopodichè spazio alla straordinaria voce di Martina Topley-Bird (già protagonista della scena drum'n'bass e trip hop anglossassone, già voce per Tricky sul suo capolavoro "Maxinquaye", ma anche per Gorillaz, Roots Manuva e Queens of The Stone Age, oltre a tre album solisti all'attivo) nella successiva "Babel", ipnotica e sensuale.
Segue la claustrofobica "Splitting the atom", già singolo e titolo di un omonimo (ed introvabile) EP che preludeva l'uscita dell'album, e che - oltre alla presenza di Del Naja & Marshall - ci riporta l'inconfondibile timbro vocale del fedelissimo Horace Andy, puntuale alla chiamata dei suoi compagni di viaggio.
Immancabile, torna anche nel brano seguente, cioè "Girl I love you", bellissima proprio nella sua forza evocativa, che ripesca a pieno nel groove degli anni '90. A livello di riferimenti, parlano di "It's no good" dei Depeche Mode o addirittura del giro di tromba di "Atom heart mother" dei Pink Floyd, anche se io sono sempre più convinto che queste trombe distorte siano una specie di inside joke, dove i Massive Attack citano se stessi, stonando acidamente la partitura orchestrale della loro celebrissima "Unfinished sympathy". Voi che dite?
"Psyche" ruota interamente su un'ipnotico gira di chitarra, con il canto di Martina in primo piano assoluto, valorizzato al massimo.
"Flat of the balde" sforna il featuring di Guy Garvey degli Elbow. Quasi due minuti "introduttivi" algidamente elettronici. Poi sulle microbatterie subentra la melodia, assai notturna. Archi. Fiati. E la voce soul di Garvey, che porta anima e calore al tappeto sonoro che - altrimenti - sarebbe solo esercizio (e ostentazione) di stile e tecnologia.
"Paradise Circus" è indubbiamente il mio pezzo preferito dell'intero disco. Una canzone d'amore, triste ed ironica allo stesso tempo, interpretata dalla bella voce di Hope Sandoval, cantautrice statunitense pressochè sconosciuta in Italia (nonostante i suoi due album). Linea di basso solida, abbondanti clap (proprio l'elemento che conferisce ironia al pezzo), ma soprattutto uno struggente/trasognante finale orchestrale degno del più puro Massive sound originale!
Puro straniamento distillato in gocce per la "Rush Minute" di Del Naja, l'unico pezzo del disco che - nella sua disturbante liquidità - sembra riportare al suono (concettuale) del precedente "100th Window".
"Saturday come slow" ha un paio di ospiti d'eccezione: in primis Damon Albarn (che qui canta, ma che in realtà nel disco è presente anche al basso in "Flat of the balde" a alle tastiere in "Splitting the atom") e inoltre Adrian Utley dei Portishead - oh, yeah! - alla chitarra. Un brano davvero molto bello.
Chiude "Atlas air": gli ultimi ipnotici/ossessivi sette minuti e quarantanove secondi di un Del Naja "a solo" (così come la copertina del disco, disponibile nei negozi in diverse colorazioni, che è dipinta da lui) con tanto di lunga coda elettronica da stato ansioso, che i più attenti possono ricordare in una sua (psichedelica) esecuzione dal vivo nei recenti concerti italiani dei Massive Attack, quando l'uomo di Bristol che tifa Napoli - annunciando l'imminente arrivo di un album inedito - la proponeva come vera e propria anteprima del loro nuovo disco.
E qui "Heligoland" finisce.
Applausi.
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2 commenti:
almeno il video potevi metterlo!
davvero molto bello e raffinato, forse uno dei più belli attualmente ingiro... altro che i coattoni del rap!
http://www.youtube.com/watch?v=5NoFY8mc0OA&feature=player_embedded
E' un album splendido e non riesco a smettere di ascoltarlo da giorni.
La voce di Hope Sandoval (e le sue musiche e i suoi piedi scalzi) sono il dono di un dio giusto.
Oltre che nei suoi album solisti, se ti capita, ascoltala anche con i Mazzy Star.
Canzoni di fughe, malinconie e ultime buone notti.
Mauro
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