venerdì 25 febbraio 2011

Effamose du' risate, va'

(che almeno quelle)...

sabato 19 febbraio 2011

La S, il 3, la K.

Di rinascita, sei mesi dopo.



Stavolta, poco più di sei mesi dopo, la mia riflessione sarà molto più SERENA ed estremamente LUCIDA . Finalmente libero da quel senso di insopportazione, intolleranza e - ammettiamolo - anche di rivendicazione!
Perché oltre al famoso "si chiude una porta, si apre un portone", credo anche ad un altro proverbio che dice "ognuno è artefice del proprio destino". Ci credo fermamente, e penso di poter sostenere che la mia intera vita ne è un esempio.

Allora può anche succedere che - ad un certo punto della tua esistenza - tu possa accettare un compromesso, uno di quelli grossi. Perché dobbiamo dare alle cose il loro vero nome, e quantomeno io ho l'onestà di chiamarlo per ciò che è stato.
Che poi all'inizio, con un entusiasmo che mi ero comunque voluto dare, ho pensato realmente di poter cambiare le cose, ma questa sarebbe un'altra storia.
Può quindi succedere che tu possa accettare (commettendo un errore solo tuo) un incarico che sai da subito essere troppo "stretto" per te, con cui entrerai inevitabilmente in conflitto, ma per il quale in quel momento ti dai mille giustificazioni, tentando un'impossibile assoluzione. C'è tanta crisi in giro, e sarebbe uno schiaffo alla miseria rifiutare un lavoro del genere. O sono mesi che magari fatturi poco o niente, e sei oppresso da un senso di responsabilità che non conoscevi, perché è appena arrivata una nuova bocca da sfamare, e l'eccessivo senso del dovere nei suoi confronti può anche offuscare la tua capacità di giudizio in una scelta professionale.

Ma per chi è abituato - come molti di noi - a vivere all'insegna del proprio "ego autoriale", ad apporre la propria firma sulla copertina di un libro, sull'articolo di un settimanale, sulla campagna nazionale di un brand… quanto può durare un compromesso?
Quanto tempo puoi resistere prima che quel benedetto/maledetto ego (che spesso è anche un'ancora di salvezza) ti riporti alla realtà?
Ti spinga alla piena accettazione/ammissione del tuo vero e proprio errore di valutazione?
Io ci ho messo ben otto mesi!
Che saranno pochi, o saranno troppi, non saprei.
Ma sono comunque stati otto, che - in termini di totale annichilamento di fantasia, stimolo creativo, sperimentazione, ricerca, entusiasmo e libertà - in effetti sono stati troppi.
Ecco, quindi mi sono già risposto da solo.

Parliamoci chiaro: i segnali dalla tua mente arrivano chiari.
Quando ti guardi allo specchio e non sei soddisfatto di te stesso, non puoi mentire.
Il seme della consapevolezza cresceva già dal terzo (!) mese in cui ero lì, cioè da febbraio 2010: primi segnali di quel conflitto cui accennavo prima, primi sintomi di una sopportazione già arrivata al suo limite.

I primi giorni dello scorso giugno, quel seme era già maturato del tutto.
Non a caso scrivevo sul mio blog queste parole.
Era insomma già esaustivamente CHIARO che non avrei firmato una seconda volta, sempre che loro me lo avessero proposto (e in quel caso sarebbe stata la loro scelta, sulla quale non potevo avere voce in capitolo); ma sulla mia scelta si, ed era comunque già stata fatta. In realtà ben prima di giugno.
Altrimenti non avrebbe avuto senso guardarsi intorno, spedire il portfolio aggiornato, sbattersi nel fissare colloqui. Se non addirittura RIFIUTARE altre proposte di lavoro (come scrivevo qui a metà maggio) capendo da subito che avrei avuto le stesso identiche problematiche, lo stesso tipo di insoddisfazioni, lo stesso tipo di insofferenze che derivano dal lavorare per un'azienda padronale.

Se devi muoverti, devi farlo con una logica coerente alla tua scelta.
Se devi muoverti, anche (non lo nego!) con un certo TIMORE per quel margine di rischio che devi necessariamente calcolare, devi farlo con cautela e ponderazione, evitando di finire "dalla padella alla brace" e non aver risolto un bel niente!
Perché di fronte ad una scelta radicale che ti imponi, soprattutto se hai una certa età, una famiglia e una casa da mantenere (se cioè non rispondi solo a te stesso come un eterno adolescente) credo ci voglia davvero coraggio. Quello di rinunciare alla comoda poltroncina da "impiegato del Mac" assoggettato ai lunatici umori del tuo titolare, comandato in orario 9.00/18:00 con il tuo stipendiuccio fisso a fine mese, in favore della più totale incertezza su ciò che verrà.
Quindi mi correggo.
Non si tratta solo di avere coraggio (che spesso è anche semplice incoscienza): si tratta di avere le palle!!!
Si tratta di (ri)alzarsi in piedi quando dovunque intorno a te ti viene chiesto di stare chinato a novanta.

Ma, nonostante chi rimane nella calda sicurezza del suo annichilimento possa pensare che il pazzo sia tu, nonostante in fondo in fondo (quando è il suo momento di guardarsi allo specchio) invidi o addirittura ammiri il fatto che tu sia nuovamente libero, che le tue opportunità da quel momento diventino potenzialmente infinite e le sue no, lo fai e basta.
E il percorso non sarà affatto breve.
Ci vorrà qualche tempo prima che tu possa effettivamente raccogliere il frutto della tua rinascita.
Ma lo fai. E aspetti - con fiducia (nelle tue skills) - che il tempo ti dia ragione.

Di fatto, poi questo tempo è stato sin più clemente di quanto io stesso potessi immaginare.
Perché da fine luglio ai primi di novembre sono solo quattro mesi. Intensi, ma quattro. Agosto in Puglia compreso.
E ad arrivare al pieno regime di fine gennaio 2011, sono SOLO sei.
Sei mesi in cui SEI RIUSCITO a cambiare ciò ti eri prefissato.
Ad elevare il tuo standard professionale, ritrovando quella fantasia, quello stimolo creativo, quella sperimentazione, quella ricerca, quell'entusiasmo e quella libertà di cui sopra. Libertà di poter fare TUTTO. Libertà che brami come l'aria per poter dare il meglio di te stesso. Per poter vivere meglio. Perché alla fine è proprio vivendo meglio, nella qualità della vita che scegli, che paradossalmente ritrovi il giusto equilibrio anche in quelle famose responsabilità (come padre e non solo) che loro malgrado ti avevo fuorviato, facendoti commettere gli errori di valutazione di cui si parlava.

Allora dicevamo "sei mesi dopo".
Ne parlavo proprio in questo post.
Dove concludevo che sarebbe stato quantomeno interessante tracciare un punto della situazione tra chi è rimasto IMMOBILE rispetto a sei mesi fa (nella stessa poltrona, con lo stesso stipendio, con le stesse frustrazioni e gli stessi sbrocchi, perché nel frattempo lì dentro non sarà cambiata una virgola) e chi invece ha deciso di svoltare strada.
Magari instaurando una nuova e dinamica collaborazione con un brand di abbigliamento che è l'antitesi di quello per cui lavoravi prima, tanto è di rottura a livello di grafiche, di valori e di impatto comunicativo?
Magari creando un nuova linea di felpe e t-shirts per conto di un'azienda già presente da vent'anni sul mercato, nel settore maglieria, che ti affida l'intero progetto di una collezione in cotone interamente ideata/sviluppata/gestita da te, contando da subito sulla sua rete vendita nazionale?
O ancora, magari firmando un contratto con una grande azienda del nord per la quale - indirettamente - avevi già lavorato, ma che stavolta ti chiama senza nessun mediatore di mezzo, in un rapporto diretto tra loro e te basato sulla totale autonomia gestionale/creativa (lavorando da Roma con i tuoi orari e i tuoi metodi) per la quale ti pagano più del doppio di quanto non prendevi stando dalla mattina alla sera dentro allo stalag?
E trovare ancora il tempo di lavorare al tuo secondo graphic novel per il tuo nuovo editore, di scrivere di musica, di progettare altri fumetti con altri autori e Dio solo sa cos'altro!!! ;)

Dunque, amici miei, vogliamo davvero farli certi confronti?
Soprattutto dal punto di vista di chi ha scelto di rialzarsi in piedi, di andare avanti, di tentare - rischiando in prima persona sulla propria pelle, non su quella di altri - altri percorsi di lavoro e di DIGNITA'.

Si, certo: allora il pazzo sono io.
Ma ben venga la pazzia, se significa contrapporla alla mediocrità.

"Eccoci, ecco chi vive la vita così la catalizza dentro attimi,
eccoci siamo noi che passiamo dal peggio al meglio,
siamo noi che ricominciamo più forti, più forti di prima,
domani saremo più forti di ora,
di ora in ora perchè è la vita che scorre
il prossimo passo lo puoi soltanto supporre"…

domenica 13 febbraio 2011

Camminando ai confini dell'Impero.



Dove il titolo del post, ovviamente, è da intendere solo come un mio gioco di parole.
Perché il titolo di questo bellissimo serial TV della HBO si riferisce al celebre "struscio" di Atlantic City, la passeggiata interamente realizzata in legno che si estende per circa 5 chilometri affacciandosi sull'oceano, dalla quale Enoch "Nucky" Thompson (modellato sulla reale figura del politico/criminale Enoch L. Johnson) ha costruito il suo "Impero del crimine", ingrassandolo ulteriormente con l'entrata in vigore del proibizionismo nel gennaio del 1920.
Inutile sottolineare la produzione di Martin Scorsese, che ne firma la regia del primo (straordinario) episodio, così com'è superfluo elogiare ancora l'interpretazione di Steve Buscemi: "Boardwalk Empire" è una serie di altissimo livello, che - non appena cominci a seguire - ti cattura e ti impressiona anche per la grandiosità dei suoi set, delle scenografie, delle ricostruzioni d'epoca. E' quindi facile supporre budget stratosferici, quasi da cinema. Roba che - per l'appunto - può permettersi giusto la HBO, che è dietro a tutti i più imponenti serial televisivi degli ultimi anni (da "I Soprano" a "Sex and the city", fino a veri e propri kolossal come "Band of Brothers" o "The Pacific", ma anche a prodotti più furbi come "True Blood").

Esistono però anche tanti network "minori" (nella stessa misura in cui una Dark Horse può stare a Marvel o DC) che - cifre alla mano - una serie come "Boardwalk Empire" non potrebbero fisicamente produrla. Eppure è proprio dove manca il denaro che spesso possono subentrare talento e creatività a colmare il gap...

Prendiamo ad esempio la FX Networks.
Non ha la potenza di una HBO (che conta su circa 38 milioni di abbonati!) nè tantomeno quella di altre majors quali ABC o NBC, eppure - sarà un caso? - è proprio dalla FX che provengono i miei serial preferiti.
Merito degli autori? Delle penne, delle idee NUOVE, di sceneggiature solide, di dialoghi serrati ed avvincenti? Non saprei.
Fino a qualche anno fa non seguivo regolarmente nessun serial TV. Non avevo SKYMediaset Premium (che forse ancora non esistevano, a parte Tele+) e i telefilm si seguivano sui canali in chiaro, soprattutto su Italia 1.
Eppure già in quel momento (senza nemmeno sapere chi fossero i network americani alle spalle dei rispettivi serial), mi colpì moltissimo "Nip/Tuck", che seguii settimana dopo settimana, appassionandomi soprattutto alle sue prime stagioni.
Sempre grazie ad Italia 1, qualche tempo dopo arrivò la folgorazione con "The Shield". E in quel momento non sapevo provenisse anch'esso dalla FX Networks. Due su due, accidenti. Tra i miei preferiti. Altro che "Buffy" (e qui apriti cielo!).
Anni dopo, oramai giunto ad una piena Era di Consapevolezza, ecco arrivare "Sons of Anarchy", altra PERLA proveniente da quella televisione, da quegli autori.

Mentre scrivevo il mio libro su "The Shield" (cioè "Strade violente, polizia corrotta", che potete trovare ancora in libreria) ho avuto l'opportunità - ed il piacere! - di intervistare Shawn Ryan, il creatore della serie, e Michael Chiklis, l'attore che interpreta il protagonista Vic Mackey.
Proprio Chiklis, parlando della loro produzione a proposito delle importanti partecipazioni di fuoriclasse come Forest Withaker o Glenn Close, mi diceva: "Attrici straordinarie del calibro di Glenn Close giungono sul set e lo trovano il migliore in cui abbiano mai recitato. E vanno via talmente entusiaste da volere una loro serie personale su FX"…

Alchè non ho fatto altro che (ri)mettere in moto il Mulo.
Ed anche "Damages" è entrato da subito tra i miei preferiti. Una figata tanto ironica quanto cinica, con una grande Glenn Close ma anche una grande Rose Byrne, attrice bella/brava (e gelida) che francamente non conoscevo. Senza nemmeno saperlo, scopro che molti episodi di questa serie sono diretti da Mario Van Peebles, che ho amato per un certo periodo della mia vita (parlo di "New Jack City", di "Posse", di "Panther") che tra l'altro interpreta anche la piccola parte di un agente dell'FBI che vuole incastrare l'avvocato Patty Hewes. Nella seconda stagione, entra nel cast un altro calibro da 90 come William Hurt, che a rivedere lui e la Close sullo schermo, nella stessa stanza, sembra di essere tornati a "Il grande Freddo", film di culto di metà anni '80 che ho letteralmente adorato insieme a "St. Elmo's Fire", a "Breakfast Club" e a qualche altro generazionale del genere ;)

Quando il lavoro e/o la mia bimba me lo permettono, la sera (o meglio: la notte) mi piace sbragarmi sul divano seguendo almeno un episodio del mio serial del momento. Attualmente, alterno un episodio della prima stagione di "Boardwalk Empire" ad uno della seconda di "Damages". Sono due cose diversissime tra loro, lo so bene. Le seguo entrambe con piacere, ma - nonostante la più che probabile superiorità del primo - se devo proprio tifare per qualcuno, visti i miei gusti tiferò sempre per la FX Networks.
Perchè è piccola e agguerrita, come piace a me.
In qualsiasi campo: dalla televisione al cinema, dalle etichette discografiche alle case editrici. Perché - aldilà delle pianificazioni, degli stanziamenti di budget, della strategie di marketing o quant'altro - si basano, vivono e sostengono la forza delle idee.

venerdì 4 febbraio 2011

Che anche la radio, qualche volta...

Cose buone che (raramente) possono arrivare dal mainstream


Joan As Police Woman: "The Magic"


Adele: "Rollin in the deep"



Paloma Faith: "New York"

E sto notando soltanto ora (mentre pubblico il post) che si tratta in tutti e tre i casi di voci femminili, ma guarda un po'...