venerdì 23 marzo 2012

domenica 18 marzo 2012

Una [bella] storia qualunque.

C'è questo collega di Teresa, un uomo tutt'altro che imborghesito (anzi: credo di aver capito che è uno che - per esperienze di vita - manda a casa la metà di noi) nonché agguerritissimo sindacalista, che ha scritto un libro.
Giovedi scorso questo libro è uscito in libreria, pubblicato da un vero editore, non da uno di quelle decine di cialtroni che chiedono soldi a quelle migliaia di ipotetici scrittori che farebbero di tutto pur di vedere il proprio romanzo esposto sugli scaffali della Feltrinelli. Che poi quel genere di editori, dopo averti spillato duemila euro (che, beata ingenuità, sono già più di quanto loro spendono di stampa) nemmeno ci arrivano da Feltrinelli, ma questa sarebbe un'altra storia.

Torniamo al nostro uomo.
Che Tere, per stima e per amicizia, ha voluto subito acquistarne una copia. E quando dico "subito" intendo il giorno stesso della sua uscita (per poterglielo portare già il giorno dopo al lavoro, per farselo dedicare); e fate conto che alla Feltrinelli di via Appia ce n'erano una decina di copie, che - se masticare un minimo di distribuzione editoriale - non sono affatto poche!

Sul romanzo vero e proprio torneremo in seguito, probabilmente con un post specifico. E in questo momento non sto nemmeno qui a polemizzare sul fatto che la casa editrice - approfittando della sua posizione di fronte ad uno scrittore comunque "esordiente" - ha imposto il cambiamento del titolo del libro (scegliendone uno che ovviamente al suo autore nemmeno piace) nel tentativo di creare più appeal, spacciandolo per un romanzo romanticamente teen oriented con tanto di cuore in copertina, citazione ad una nota canzone di Silvestri, fascetta che recita "un po' Fabio Volo e un po' Nick Hornby" e via dicendo.
Insomma, qui nessuno è nato ieri: conoscete meglio di me questi meccanismi che spesso gli editori credono geniali. Anche se questo romanzo, strettamente autobiografico, non è affatto romanticamente teen oriented.

Ma torniamo al nostro uomo.
O meglio: ai suoi amici, ai suoi conoscenti, ma soprattutto ai suoi colleghi. Come mia moglie. Che sul suo Facebook è iscritta al "Gruppo" del suo posto di lavoro (non c'è bisogno di dire quale sia perché chi la conosce bene sa dove lavora). E da giovedì scorso, è un tripudio di commenti e/o foto di gente col suo libro in mano; con una copia, due, cinque, sette da poter regalare anche ad altri amici.

Io mi guardo queste foto, questo entusiasmo assolutamente disinteressato, trovandoci una purezza a cui non sono abituato: i tuoi colleghi ("i tuoi colleghi", capite? Che non sono tuo fratello o il tuo amico del cuore) che ti riconoscono ciò che hai fatto, che ti gratificano con l'acquisto, che partecipano con te a questo importante evento.

Una purezza che mi ricorda i miei primi anni '90, ma SOLO nella musica. Perché a mano a mano che qualcuno produceva/pubblicava il suo primo vero album di rap, era una gara a chi lo acquistava per primo, a chi supportava quell'amico, a chi gli riconosceva quel primo traguardo.

Ma nei fumetti?
Riuscite a immaginare una cosa del genere nei fumetti?
Dove tutti aspettano che casomai quella copia gli venga regalata, altrimenti col cazzo che te la comprano! Dove (quasi) nessuno legge la roba degli altri, autocompiacendosi solo della propria, nel mantenimento di uno status (cioè se stessi come proprio argomento preferito). Dove casomai sono tutti pronti a sparare merda sull'ultimo volume di un "collega" che in molti casi - per metroquadratura limitata dell'ambiente - è anche un amico.
Anche su Facebook (dove la community del fumetto, senza nemmeno volerlo, ha creato un fittisisimo network grazie al quale tutti sanno i cazzi di tutti, escludendo di fatto la possibilità di qualsiasi bluff) vedete mai cose del genere?
Questo entusiasmo? Questa gratificazione? Questa partecipazione?

Allora forse quella che vi ho raccontato è solo una storia di gente normale.
Beh, se è così: evviva la gente normale!!!

sabato 10 marzo 2012

Vola per sempre, Arzach.


Mi rivolgo principalmente a tutti i miei amici NON fumettari e/o appassionati di fumetto (come dire: ai miei VERI amici di sempre) perché proprio loro, probabilmente, non hanno la minima idea dell'importanza e del peso di Jean Giraud a.k.a. Moebius nel fumetto mondiale. Si, mondiale. Spesso è stato definito "il disegnatore più bravo del mondo", perché - anche non lo fosse stato - era comunque a pochi millimetri dalla perfezione.

Dire che l'ho A.D.O.R.A.T.O è dire poco.
Ai suoi livelli, posso dire di aver provato lo stesso infinito (e tristissimo) senso di perdita SOLO con Andrea Pazienza e Hugo Pratt.

A casa, credo di avere la sua opera omnia. Ebbi anche l'onore e l'occasione - un'unica occasione! - di conoscerlo di persona a Perugia, ad una fiera di fumetto che oggi non esiste nemmeno più. Lui venne al nostro stand di "Katzyvari"… non sto scherzando: venne lui da noi (di sicuro lì al tavolo con me c'era Diavù, forse anche Ottokin, ma certamente hanno anche loro questo straordinario ricordo). Si fermò solo qualche minuto. Per me - che non sono mai stato un "cacciatore di sketch" - giusto il tempo di avere per sempre un suo disegnino originale che però ora non posterò, custodendolo gelosamente come una cosa solo mia.
Bene. Non devo dire altro.

Riposa in pace, Maestro.

mercoledì 7 marzo 2012

di Facebook, numeri e popolarità.

Dopo anni passati a lurkare con il mio profilo di Facebook finalmente Tere - lei che era "contro", che ha sempre sostenuto di NON volerne aprire un suo - si è decisa a fare questo passo ed è entrata nel più grande social network del mondo.
Sempre che non sia Twitter, che così su due piedi non saprei.

Ad ogni modo, come CHIUNQUE prima di lei, una delle prime domande che mi ha fatto (al di là dei settaggi sulla privacy) riguardava gli "amici", qualcosa del tipo: "Ma quanti amici bisognerebbe avere su Facebook? Poi se uno ne ha pochi, sembra uno sfigato"...

Una paranoia che - quantomeno all'inizio - ha attraversato almeno una volta la mente di qualsiasi essere umano del pianeta, come un brivido. E chi vi dovesse dire il contrario, mente sapendo di mentire!

Ma Teresa è solo lo spunto di questo post.
Perché su questi numeri, su questa mutevole ed eterea quantità di amici, conoscenti, amici di amici, parenti, colleghi, groupies o emeriti sconosciuti (accettati - per l'appunto - solo per fare numero) si potrebbero scrivere interi tomi antropologici. Che ora non ho voglia di affrontare. Ma chi pesa la propria popolarità attraverso il numero degli amici che ha, fondamentalmente mi fa piuttosto tenerezza. 

Ricordo che Simona Pili (ancora 'sta Simona Pili? Chi è Simona Pili?) quando aprì il suo profilo FB e raggiunse 100 amici, scrisse: "Sto diventando più popolare della Coca Cola!!!"… eh eh eh ;)

La popolarità, questa brutta bestia.
Leggevo da qualche parte (ora non ricordo dove di preciso) che la media di amici per una persona comune è di circa 150. Con "persona comune" si intende qualcuno/a che NON E' un personaggio pubblico, un autore, un artista o quant'altro. Quindi una persona qualsiasi, che studia o lavora, che nella vita quotidiana frequenta amici, parenti, colleghi, conoscenze di sport e/o altro, e che al massimo con questo social network raggiunge i suoi vecchi compagni di classe. Magari anche una ex fiamma, da cui nascono sempre danni, ma questa sarebbe un'altra storia di Facebook.

Ora, sia chiaro: a me questo genere di statistiche stanno abbastanza sulle palle, e comunque lasciano sempre il tempo che trovano. Perché anche la persona comune può arrivare tranquillamente ad avere migliaia di amici… tanto più se è una giovane femmina bella e ammiccante, propensa alla pubblicazione di un mare di foto e autoscatti, quindi sommersa da richiesta di amicizie, lei che gioca con la propria sensualità o la propria zoccolaggine, a seconda dei casi. Nella stessa misura in cui un personaggio pubblico - per contro - potrebbe averne solo poche centinaia.
Comunque sia, quell'articolo parlava appunto di media.

Resta il fatto che questi numeri - alla fine - intrigano un po' tutti. Cioè andare a vedere effettivamente QUANTI amici abbia o meno quella determinata persona, quel personaggio. Allora tralasciamo per un attimo i casi delle zoccole di cui sopra, che farebbero storia a sè. Per proseguire la mia argomentazione, entro in un campo che conosco bene, cioè quello dei fumettari.

E se vado a vedere il numero degli amici che hanno (prendendone a campione cinque tra i più famosi d'Italia) leggo rispettivamente 3.546, o 2.488, o 2.481, o 2.125 o 1.865 (ognuno di loro può riconoscersi facilmente da questi numeri, aggiornati al 7 marzo 2011). Che non sono affatto pochi, nevvero?

Però poi è tutto relativo.
Perché se penso che questi sono i numeri dei più popolari tra gli autori italiani, allora - in un confronto tra musica e fumetto, dove la prima vince sempre a mani basse - fa sorridere come l'ultimo imbecille dei rapper raggiunga 5.000* amici e debba rapidamente aprirsi una seconda pagina!
Ma (volendo giocare in un territorio più "simile" al nostro) anche la più sfigata delle cosplayer ne raggiunge rapidamente 5.000*


* Mi dicono: "Ti credo, quelli accettano cani e porci"... si, eh? Perchè invece i nostri fumettari fanno la selezione all'ingresso?!? Seeeeee ;)

Comunque sia, non stavo nemmeno parlando di cantanti "famosi" in termini televisivi o radiofonici, quelli che fanno il SOLD OUT ai concerti, perché a loro il limite di 5.000 amicizie starebbe stretto dal giorno uno.
Parlo di una nicchia nella nicchia (cioè gli mc's più underground all'interno di una scena hip hop a sua volta già microscopica all'interno del mercato musicale generalista) i cui spesso giovani protagonisti - oltre che saper usare molto bene tutta la potenzialità del web e dei social network - secondo la stessa logica dei numeri sembrano essere assai più popolari dei più blasonati tra gli autori italiani di fumetto. Sorprendente, vero? No.

Allora è davvero tutto così relativo. E pesare la propria popolarità attraverso il numero delle proprie amicizie su Facebook è solamente qualcosa di cui sorridere, per non dire altro.

venerdì 2 marzo 2012

Lucio e gli altri.



Mi fa davvero uno strano effetto pensare che nemmeno tre settimane fa, alla morte di Withney Houston, nella prima stesura del pezzo che le ho dedicato qui sul blog ci fosse un passaggio (che poi ho tagliato perché suddetto pezzo era già abbastanza lungo) in cui scrivevo:

"Parlo di Battisti, ma la sua morte l'abbiamo già elaborata da molto tempo. Erano quasi quindici anni fa, e noi eravamo tutti più giovani. Il paragone tra un americano che legge improvvisamente della morte della Houston e un italiano, potrebbe essere ancora più calzante - in termini di dispiacere, di dolore o di senso di perdita - se leggessimo all'improvviso che è morto Claudio Baglioni, o Francesco De Gregori, o Lucio Dalla, o Antonello Venditti, o Vasco Rossi. Lì per lì ci prenderebbe un colpo, non credete? Eppure - a meno che non ci spalmiamo prima noi sul Raccordo Anulare! - prima o poi succederà"

Ecco.
Rileggerlo oggi è veramente strano.
Perché una cosa è scriverlo, un'altra vederlo succedere.

Oltre ad aver deciso di tagliarlo, in quelle righe nemmeno approfondivo più di tanto il concetto che volevo esprimere. Perché la nostra generazione ha visto esordire e crescere (in certi casi raggiungere il pieno successo) un'intera schiera di gruppi, cantanti e cantautori; penso immediatamente a Jovanotti, ai Subsonica, a Silvestri e tutta la scuola romana, a tutti i rapper che conosco, a Giorgia e chi più ne ha più ne metta, chiunque altro/a possa avere indicativamente la nostra età.

Ma Baglioni, De Gregori, Dalla, Venditti, Renato Zero o ancora Franco Battiato e Ivano Fossati, c'erano già PRIMA di noi. Spesso i nostri genitori avevano già i loro dischi. E altrettanto spesso noi siamo cresciuti proprio ascoltando quei vinili, che in seguito - in qualche caso - ci siamo pure portati a casa nostra, proseguendo la discografia, continuando a seguirli album dopo album, come fosse un filo invisibile che lega simbolicamente questi artisti ai nostri affetti e alle nostre passioni/tradizioni familiari.
Di padre in figlio, rendendoli realmente intergenerazionali.

Ci sono sempre stati, insomma.
E noi li abbiamo sempre visti come esseri immortali.
Mentre l'unica cosa immortale - ci insegna la vita, come ieri - è la bellezza di alcune loro canzoni, che rimarranno davvero per sempre.