lunedì 7 gennaio 2008
[interludio]: "Ratti".
Avrebbe potuto essere un pipistrello.
Invece era solo un topo. O meglio, un ratto.
Se cerco la parola ratto sul vocabolario, trovo: “Genere di roditore comprendente 56 specie diverse, simile al topo ma più grande, con muso appuntito e coda rivestita di squame; a differenza di altri mammiferi, si adatta a qualsiasi condizione di vita ed è in grado di digerire sostanze di diverso tipo”.
Topi o ratti, per me sono quasi la stessa cosa. Comunque sia, fanno schifo. Ha ragione mio padre, almeno su questo. I ratti gli hanno sempre fatto schifo. E pensare che suo padre, cioè mio nonno, quando da pischello girava per Venezia prendeva a calci le pantegane, se ne spuntava fuori una dai canali. Pantegane grosse come gatti, se non di più. Che facevano voli di dodici metri, ripiombando dritte dritte nell’acqua sporca del canale da cui erano venute fuori, ma con le ossa rotte.
Che poi io una pantegana viva non l’ho nemmeno mai vista.
Credo sia inquietante, vedere una specie di topaccio grosso più di un gatto! Fa schifo, ecco che fa. Me ne ricordo una morta, una carcassa penzolante, appesa alla rete del pollaio di un contadino di Pieve, quando ero piccolo, in montagna. Lui metteva queste trappole su tutta la rete, perché altrimenti di notte ‘ste pantegane grosse come gatti entravano nel pollaio e si mangiavano le galline. Vi rendete conto? Erano capaci di mangiarsi una gallina, che un pollo intero mette in difficoltà pure me. Che con un pollo intero noi ci mangiamo in quattro.
Ricordo che - prima che i miei si separassero, quando vivevamo ancora a Palocco – ci fu un periodo in cui avevamo alcuni topi in giro per casa. Entravano da un’apertura del muro sotto al tubo del lavandino della cucina, ma lo avremmo capito solo qualche tempo dopo. E avremmo chiuso quel dannato buco con legno e gesso. Perché i muri di quella casa erano tutti con l’intercapedine, che andava giù dritta fino allo scantinato comune a tutta la schiera di villette. E chissà quanti cazzo di topi c’erano là sotto.
Alcuni di loro avevano trovato questa uscita nella nostra cucina. E per almeno un paio di settimane ci fu la grande caccia al topo. Roba che a me e ai miei fratelli divertiva pure. Ma a mio padre no. A lui facevano schifo.
Tentammo di tutto: trappole in metallo comprate al ferramenta, cibo avvelenato, carta con la colla. Se non ricordo male un paio li prendemmo pure, con ‘sti trucchetti. Ma continuavano ad essercene altri. Fino al giorno in cui - svuotando lo scomparto sotto al lavandino da tutto quell’inutile botto di detersivi bottiglie stracci e barattoli vari, probabilmente lì immobili da anni - scovammo il famoso buco nella parete, proprio dove il tubo dello scolo si piega ed entra nel muro.
Ma evidentemente un paio di quegli schifi erano rimasti fuori, quando chiudemmo il buco. Perché continuavamo a trovare tracce della loro presenza. E la notte, anche qualche squittio. Alla fine, scoprimmo che – non potendo rientrare nel muro – di giorno si nascondevano sotto al forno a gas. E fu guerra vera. Con fuoco e manici di scopa. Intrappolati là sotto, con il calore del forno a tutta manetta, schiacciati e infine spappolati da una vecchia scopa di legno. A mio padre venivano i conati di vomito, mentre procedeva con la loro esecuzione.
Non mi stupisce, quindi, che ancora oggi mi parli male dei ratti.
Come l’ultimo film della Pixar, quel “Ratatouille” che tutti quelli che lo vanno a vedere dicono essere una gran figata. E lui non capisce come si possa andare al cinema a vedere un film con dei ratti come protagonisti.
Inutile spiegargli che tutta la cultura dell’intrattenimento popolare si basa sui topi. Che nel nostro immaginario collettivo, sin da bambini, c’è già la figura del topo. Che il più grande e famoso personaggio animato del mondo sia il Mickey Mouse della Disney, ma se ne potrebbero trovare altri mille. Come Jerry di Tom & Jerry, come Speedy Gonzales, come Fievel, come Stuart Little, come Basil l’investigatopo. Come Fichetto di Grattachecca & Fichetto, come Autogatto e Mototopo. O addirittura come Topo Gigio o il Rat-Man di Leo Ortolani.
Il punto è che quelli sono personaggi di fumetti e cartoni animati. Sono carini. Sono divertenti. Sono teneri. Invece i ratti, quelli veri, fanno schifo. E dicono che saranno gli unici a sopravvivere alla guerra atomica, se mai ce ne sarà una. Loro e i ragni. Ovvero le due categorie di esseri striscianti che a me fanno più schifo. Cazzo: ratti e ragni sopravvivranno all’olocausto nucleare, la razza umana no!
Un altro flashback: la metropolitana di Londra.
Io e la mia tipa di allora alla fermata di Leicester Square. Chiacchieravamo del più e del meno, aspettando che arrivasse la metro. Che poi non la sopporto la metro di Londra. Si, d’accordo: gran belle rete di collegamento, come a Parigi, come a Madrid. Ma è angusta, stretta, puzzolente. Se ti siedi, le tue ginocchia scontrano con quelle della persona seduta di fronte a te. A Roma c’è spazio, accidenti. C’è lo spazio per la gente in piedi. E poi quei tunnel, così piccoli. Evidentemente proporzionati alle carrozze della metro, che immagino abbiano un diametro davvero contenuto. Roba da claustrofobia, anche quando prendi l’ascensore per scendere giù fino alle banchine. Che certe fermate non hanno nemmeno l’alternativa delle scale: c’è solo l’ascensore!
Aspettavamo che arrivasse la metro, insomma, e per puro caso ci cascò l’occhio sulle rotaie, perché in effetti – con la coda dell’occhio – si percepiva del movimento. Ratti. A decine. A centinaia. Dio, che schifo. Un via vai proprio lì sulle rotaie, che probabilmente conoscono l’orario della metro meglio di noi. Quando sentono vibrare le rotaie, spariscono. Sanno come funziona, i maledetti. Non ne rimane schiacciato nemmeno uno. Poi – come la metro riparte – sbucano nuovamente da buchi, giunture, interstizi, e se guardi verso il basso vedi nuovamente il terreno muoversi. Sono loro.
A Roma, quando guardo verso le rotaie, non vedo topi.
In realtà una volta ne ho visto uno, ad essere sincero. Solo uno.
Sia chiaro: non voglio dire che Roma sia più pulita di Londra. Casomai che è meno zozza. Magari non c’è puzza di cipolle ad ogni angolo della strada, magari non mettono la moquette pure nei bagni dell’albergo, magari non ha locali sporchi come certi loro bar e ristoranti, magari non si avvistano tutti quei ratti alle fermate della metro, ma sicuramente anche Roma ha la sua bella sporcizia. Quindi anche il suo bel numero di ratti striscianti.
Sotto le strade e i tombini, dentro ai palazzoni, nelle cantine e nei box, attraverso le tubature, dentro le intercapedini dei muri, tra i secchioni dell’immondizia, giù fino alle fogne. Una connessione infinita, la mappa di una Roma nascosta che li porta dai canali di scolo delle fontanelle fino al Tevere. Il biondo Tevere. L’apoteosi del ratto. Brrr.
Altro che Walt Disney.
Mi viene in mente il caro vecchio Paz, più che altro. E non il suo Topolino tossico, che la Disney voleva pure querelarlo. No. Mi viene in mente questa vecchia vignetta di Andrea Pazienza, dove un topaccio scheletrico, malato e puzzolente – pisciando dall’argine di una fogna con la cappella tra le mani – diceva: “Dice che uno è morto perché ha bevuto l’acqua del Tevere! E ci credo! Fa schifo! Mo’ per esempio io, dovessi dire “Sto bene!”, non lo posso di’! Sto male, sto! Piscio in continua! E secondo me il Tevere c’entra! C’entra, c’entra”.
A volte mi metto ad immaginarmeli tutti ‘sti topi.
Migliaia. Decine di migliaia. Centinaia di migliaia. Milioni.
Che si muovono, strisciano, squittiscono, mangiano, cagano, scopano e si riproducono. E mi perdo in un mio trip tutto personale: immagino di andare in alto, di poterli vedere tutti dall’alto, come se tutta Roma fosse una mappa sotto di me, un grande schermo nero con impressa la cartina della città, e loro fossero dei puntini rossi luminosi, che posso vedere anche in trasparenza, dovunque essi siano. Migliaia di puntini rossi. Milioni. Che si muovono, si muovono, si muovono. Sempre più rosso. Una grande macchia rossa che si muove. Alla fine vedo solo un’unica immensa massa rossa, luminosa.
E mi prende male.
Meglio non pensarci, che altrimenti mi vengono i conati di vomito come a mio padre.
Anche se so che una visione del genere corrisponderebbe parecchio alla realtà, preferisco non saperlo. O quantomeno fare finta.
Ben altra cosa sono i pipistrelli.
E non solo perchè sono in fissa per Batman.
I pipistrelli, innanzi tutto, volano.
Mentre i ratti strisciano.
Nelle fogne.
Nell'immondizia e nella merda.
© & ® 2008 Stefano Piccoli
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8 commenti:
giusto per dire la mia sui topi, ti copio incollo il testo della canzone di De Gregori...
Titolo: 300.000.000 Di Topi
Album: Miramare 19.4.89
Anno: 1989
Ci sono topi tutti in giro, topi tutti intorno,
topi mattina e sera, topi mattina e giorno.
Sudici topi lucidi, giocano a nascondino,
fanno tana nel tronco degli alberi,
dentro al nostro giardino.
Ci sono topi sui tuoi capelli,
dei lunghi topi chiari, topi sui tuoi capelli.
Ed io ti ho veduto salire sopra un altare
e dire una messa da topi e per i topi pregare,
e cucire ho veduto vestiti da sposa, per nozze di piombo,
e topi gridare e ballare sulla cima del mondo.
Ci sono topi tutti intorno, topi in Via Frattina,
traversavano la strada tranquillamente alle undici di mattina.
Sterminate distese di topi, refrattarie ad ogni sterminio,
sorridevano dalle finestre tutte d'oro e d'alluminio.
Erano i topi del magro cuore, seduti ad aspettare,
il nostro magro cuore.
Così ti ho veduto dividere e moltiplicare,
con trecento milioni di topi da calcolare,
e trascorrere ho visto fanciulle,
con le guance di pesca, e pescatori pescare,
usare occhi per esca.
mi sa caro s3keno, che anche le blatte sopravviverebbero a un olocausto.
Il tm?
Ma chi hai paura che te se lo rubi un pezzo che pubblichi sul tuo blog?
In realtà sono una © e una ®, non un TM.
Se è per questo sono anche sotto la foto "allampanata" sul lato dx, ma anche lì non ho affatto paura che nessuno se la rubi ;)
E comunque questo post è molto carino!! Bravo!
ma sarebbe un racconto, o che?
cioè: come dobbiamo interpretarlo?
(ad ogni modo molto piacevole e scorrevole da leggere)......
Perche non:)
necessita di verificare:)
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