Oggi esce il nuovo album dei Daft Punk.
Quella che segue è la recensione di Giovanni "John" Carosi, scritta ieri. Che - con un certo orgoglio - (ri)pubblico sul mio blog.
Orgoglioso si per la recensione in quanto tale.
Ma soprattutto di lui, per come sta crescendo.
Daft Punk: "Random Access Memories"
Columbia Records, 2013.
Ho fatto un paio di errori, oggi: ho voluto ascoltarmi l'album prima che uscisse ufficialmente, tradendo il mio tradizionalismo.
E prima di scrivere queste due righe, ho letto le critiche di alcune testate musicali.
Ma poi, col passare delle ore, mi sono reso conto che questi mali non sono venuti per nuocere: ho avuto ventiquattro ore in più per gustarmi questo diamante e oltretutto la critica generale si è espressa esattamente come mi aspettavo, ovvero in maniera positiva ma distaccata.
Alcuni hanno centrato il nocciolo della questione, altri lo hanno aggirato, altri ancora si sono comportati come se avessero messo il CD, scritto il pezzo mentre erano a metà, e consegnato al capo entro la scadenza!
La spasmodica cura del suono, i continui tecnicismi, il contenuto, lo stile e la passione.
Queste sono le caratteristiche che descrivono questo lavoro.
Con "Discovery" (2001) il duo francese ha cercato di valorizzare brani dance ormai caduti nel dimenticatoio, che non hanno sfondato o che semplicemente sono passati in secondo piano, compiendo un'opera che tuttora viene ricordata da qualsiasi essere vivente.
In "Human After All" (2005) hanno perfezionato la loro parte elettronica, hanno gettato le basi per i nuovi generi techno/house, spianandogli la strada.
In "Random Access Memories" hanno concluso questo iter. Completamente immersi nella dance, hanno dato nuovo nome alla musica elettronica. O meglio, glielo hanno restituito.
È facile mettere insieme tredici tracce dove i bassi la fanno da padrona: ci butti una melodia preimpostata, chiami un vocalist che dice due stronzate, le pitchi ed hai fatto il tuo lavoro. Se il tuo intento è quello di far ballare la gente, di spedire il tuo pezzo all'Amnesia o a qualche localetto sulla spiaggia. Se vuoi spaccare la cassa.
I Daft Punk, invece, hanno fatto capire come la cassa l'abbiano voluta riempire. Come abbiano pensato a tutte quelle persone che hanno comprato "Random Access Memories" non per ascoltare Skrillex, per sfondarsi di basse frequenze e di qualche remix randomico. Hanno pensato soprattutto a loro stessi, al LORO suono, alle LORO peculiarità, rendendole il tema principale di ogni brano.
I bassi sono rimpiazzati da batteria e basso in presa diretta, una chitarra IMMENSA di Nile Rodgers che accompagna tutto l'album in un viaggio anni '80. Sembra che il tutto sia completamente rivoluzionato e, invece, i brani suonano maledettamente familiari. Il tocco caratterizzante, dato dalle loro parti vocal e - a volte - da quelle delle collaborazioni, si conferma nell'uso del synth e del piano.
Un album dove puoi trovare un tappeto di violini o un solo di piano, come un pezzo dove il synth la fa da padrona su una base di basso e batteria che picchiano come pazzi.
La completezza, la ricerca della perfezione della LORO elettronica.
Una delle loro migliori espressioni di sé.
E tutto questo materiale, frutto di una lunga ricerca dell'equilibrio perfetto, è spaventosamente OTTIMO per un loro eventuale live.
Completamente soddisfatto del loro operato: 10/10
(Giovanni "John" Carosi, 16 maggio 2013).
venerdì 17 maggio 2013
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