mercoledì 13 agosto 2014

Sarà che.

Sarà che questa mattina non sono nemmeno passato in edicola, ma dalle strade di questa città non odo nessuna rivoluzione.
Non sento alcun vento di cambiamento.
Che sia anche solo un venticello.
Soltanto noia e canicola.
D'altronde - ce lo insegnavano tanto Gil Scott-Heron quanto i Piombo a Tempo - «la rivoluzione non sarà trasmessa in televisione».
Figuriamoci su Facebook.

Sarà che anch'io SORRIDO quando leggo certe elucubrazioni di certi giovani autori magari non ancora ventenni e legittimamente pieni di fotta, quando - in una gran confusione tra ingenuità, complottismi e il proprio essere wannabe - parlano di «Casta del fumetto italiano» rivolgendosi ai soliti colleghi più "vecchi" e più affermati che sono tutti amici tra loro… ma se poi proprio uno di questi ultimi, un celebrassimo curatore di testata, parlando di un ambiente che vive ACCANTO al nostro ma che NON E' il nostro, definisce il cinema italiano come «un mercato dominato dai vecchi, dominato dalle Caste» (in questo video, al secondo minuto e mezzo circa), ne avessi sentito uno che - a lui - lo perculi con «Gomblotto! GOMBLOTTO!!!» ;)
E sarebbe altresì curioso, a questo punto, sapere COSA ne pensino i "nostri" numerosi amici che lavorano nel cinema e per il cinema, dalle produzioni di Cinecittà a quelle più indipendenti. Compresi giornalisti e testate.

Sarà che viviamo in un ambiente davvero strano. Dove basta la release del primo trailer in italiano del prossimo film di fantascienza di uno dei registi più straordinari del cinema contemporaneo per sentirsi dire dai nostri puntualissimi espertoni che egli oramai «fa cagare» (ovviamente solo perché suddetto regista vive dall'altra parte del mondo e non può leggere tali giudizi, altrimenti - e l'ho visto accadere più volte con i miei occhi - se ci fossero a cena insieme passerebbero l'intera serata a leccargli il culo) mentre se quell'importante editor di quell'importante casa editrice ogni mese scrive quattro minchiate messe in fila (e non c'è davvero altro modo di definirle) eccoli tutti lì a chiamarli «capolavori pop».

Sarà che, vabbe'… followa 'sta cippa, mo'

domenica 3 agosto 2014

Israele, Palestina, Gaza.

Informarsi non è mai una cosa rapida.




A volte è vera e propria ignoranza.
Da qui il facile antisemitismo e/o antisionismo che le drammatiche cronache delle ultime settimane stanno alimentando a dismisura.

Altre volte è semplice disinformazione.
Spesso addirittura pigrizia, anche solo di leggere cose che superino i 140 caratteri di un tweet.

Raccolgo in questa sede alcune delle cose migliori lette in questi giorni.
E tanto per capire il senso del post, parlo di cose che sono state scritte da personalità ebree!

Parto da Ilan Pappè, intellettuale e storico israeliano, con un brano dal suo libro La pulizia etnica della Palestina (Fazi, 2008):

«Per gli israeliani, riconoscere i palestinesi come vittime delle azioni di Israele è fonte di profondo turbamento, almeno per due motivi. Sia perché dovrebbero fare i conti con l'ingiustizia storica che metterebbe Israele sotto accusa per la pulizia etnica della Palestina del 1948 e in dubbio gli stessi miti fondanti dello Stato di Israele, sia perché emergerebbero una miriade di problemi etici che avrebbero implicazioni inevitabili per il futuro dello Stato. Il riconoscimento dei palestinesi come vittime è collegato a paure psicologiche profondamente radicate poiché comporta un'indagine sulle percezioni personali di ciò che "è accaduto" nel 1948. Secondo molti israeliani - e come continuamente viene ribadito dalla storiografia ufficiale israeliana e da quella popolare - nel 1948 Israele fu in grado di costruirsi in Stato-nazione indipendente su una parte del Mandato della Palestina perché i primi sionisti erano riusciti a "creare degli insediamenti in una terra senza popolo" e a "far fiorire il deserto". L'incapacità degli israeliani di riconoscere la ferita che i palestinesi subirono è ancora più evidente se si confronta il modo in cui la letteratura nazionale palestinese racconta la storia della Nakba, un trauma che alcuni continuano a vivere nel presente».

«Per gli israeliani accettare di riconoscere i palestinesi come vittime di un male in corso di cui sono responsabili, significherebbe minare il proprio status di vittime. Avrebbe implicazioni politiche su scala internazionale, ma - forse a livello molto più critico - scatenerebbe anche ripercussioni morali ed esistenziali sulla psiche degli ebrei israeliani: dovrebbero riconoscere di essere divenuti l'immagine speculare dei loro incubi peggiori».

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Dopodiché tre citazioni di David Ben-Gurion, uno dei padri fondatori di Israele, uomo politico che - dal 1949 - è state anche il Primo Ministro del Paese.

«Ci sono stati l'antisemitismo, i nazisti, Hitler, Auschwitz, ma gli arabi in questo cosa c'entravano? Essi vedono una sola cosa: siamo venuti e abbiamo rubato il loro paese. Perché dovrebbero accettarlo?»

«I villaggi ebraici sono stati costruiti al posto dei villaggi arabi. Voi non li conoscete neanche i nomi di questi villaggi arabi, e io non vi biasimo perché i libri di geografia non esistono più. Non soltanto non esistono i libri, ma neanche i villaggi arabi non ci sono più. Nahlal è sorto al posto di Mahlul, il kibbutz di Gvat al posto di Jibta; il kibbutz Sarid al posto di Huneifis; e Kefar Yehushua al posto di Tal al-Shuman. Non c'è un solo posto costruito in questo paese che non avesse prima una popolazione araba».

«Tra di noi non possiamo ignorare la verità. Politicamente noi siamo gli aggressori e loro si difendono. Il paese è loro, perché essi lo abitavano, dato che noi siamo voluti venire e stabilirci qui, e dal loro punto di vista li vogliamo cacciare dal loro paese» (da un discorso del 1938).

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E ancora Gideon Levy, giornalista israeliano che scrive per il quotidiano Ha'aretz.

«È così facile essere un israeliano: la tua coscienza è pura come la neve, perché tutto è colpa di Hamas. I razzi sono colpa di Hamas. Hamas ha cominciato la guerra, senza alcuna motivazione. Hamas è un’organizzazione terrorista. I suoi esponenti non sono altro che bestie, nati per uccidere, fondamentalisti. Circa 400mila palestinesi hanno dovuto lasciare le loro case. Più di 1.200 sono stati uccisi. L’80 per cento erano civili. La metà erano donne e bambini. Circa 50 famiglie sono state spazzate via. Le loro case sono state distrutte con loro dentro. La tragedia ha raggiunto le dimensioni di un massacro, ma Israele ha le mani e la coscienza pulite. È tutta colpa di Hamas.

Lasciamo l’analisi di questa negazione della realtà agli psicologi. Non si vedeva una simile rimozione da quando Israele accusava i palestinesi di uccidere i loro bambini per mezzo dell’esercito israeliano. La malattia ha incubato per anni e ora si è trasformata in un’epidemia. La coscienza nazionale non ha mosso un muscolo davanti a queste atrocità, e ci sono forze che stanno lavorando per mantenere la situazione com’è.
Nonostante la nube maligna della negazione, pur comprendendo quanto sia facile incolpare Hamas (Israele non ha mai avuto un nemico così conveniente) dobbiamo chiederci se davvero è tutta colpa loro e se Israele è davvero innocente. La verità è che davanti alle immagini di Gaza, insanguinata e distrutta per mano israeliana, questa tesi è del tutto inconcepibile.

Hamas è una spietata organizzazione terrorista? Com’è possibile che in questa guerra sia più colpevole dell’esercito israeliano? Soltanto perché non “bussa sul tetto” 80 secondi prima di distruggere una casa? Perché punta i suoi razzi contro i civili? Lo fa anche Israele, ma in modo molto più efficace. Perché vuole distruggere Israele? Quanti israeliani vogliono distruggere Gaza? In questo momento sappiamo tutti chi sta distruggendo chi.
L’ipocrisia di Israele raggiunge il vertice nell’ostentata preoccupazione per i civili di Gaza: guardate come li tratta Hamas, urlano i democratici israeliani, così attenti ai diritti dei palestinesi. Hamas ha un atteggiamento tirannico, ma la sua tirannia non è nulla in confronto a quella di Israele, che ha imposto alla Striscia di Gaza un assedio di 7 anni e un’occupazione che dura da 47 anni.

L’assedio è la prima causa della distruzione della società e dell’economia di Gaza, e tante grazie a chi sostiene di volerla salvare, a chi si preoccupa della sua mancanza di democrazia, a chi si stupisce per la corruzione, a chi denuncia il fatto che i leader palestinesi vivono in hotel di lusso o in bunker nascosti, a chi si indigna per i soldi spesi per i tunnel e i razzi anziché per i parchi gioco e le attività ricreative. Grazie, grazie tante.

Ma che dite di Israele? I suoi leader vivono per caso nelle tende? Non è vero che il governo spende cifre enormi per inutili sottomarini ed esplosivi segreti invece che nella sanità, nell’istruzione e nello stato sociale? Hamas è fondamentalista? Israele sta per diventarlo. Hamas opprime le donne? È sbagliato, ma accade anche in Israele, quantomeno all’interno di una grossa comunità.

Ma perché gli abitanti di Gaza hanno eletto Hamas e non dei leader più moderati? Semplicemente perché i moderati hanno provato per anni a ottenere risultati, qualsiasi risultato, e da Israele hanno ricevuto in cambio soltanto umiliazioni e rifiuto. Israele ha mai dato ai palestinesi un motivo per scegliere la diplomazia dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) invece della violenza di Hamas? L’Olp li ha forse avvicinati di un millimetro all’indipendenza e alla libertà?

Hamas, per lo meno, ha ottenuto la liberazione di mille prigionieri e ha mantenuto un po’ di dignità, seppure al prezzo altissimo che gli abitanti di Gaza sono ora disposti a pagare. Cosa ha ottenuto per il suo popolo il presidente palestinese Abu Mazen? Niente. Una foto con Obama.
Personalmente non sono un ammiratore di Hamas, al contrario. Ma il tentativo di Israele di dare tutta la colpa a Hamas è inaccettabile. Presto la comunità internazionale giudicherà le atrocità di questa guerra. Hamas sarà criticata, giustamente, ma Israele sarà condannato e ostracizzato molto di più. E gli israeliani diranno: “È colpa di Hamas”. E il mondo intero riderà».

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Se non vi basta e volete spendere un'ora del vostro tempo per conoscere più a fondo la questione israeliano-palestinese (tenendo conto che la conoscenza non è un doppio cheeseburger con patatine e Coca grande) c'è anche QUESTO DOCUMENTARIO di Ronen Berelovich. Anche lui cittadino israeliano.
La visione mostra il metodo scientifico con il quale si sta annientando il popolo palestinese. Dalla nascita dell'ideologia del sionismo in Europa alla fine dell'Ottocento, fino a oggi, mostra il percorso attraverso il quale i palestinesi vivono come in una grande prigione a cielo aperto.
Gaza è una gabbia. La Cisgiordania ospita ormai solo insediamenti arabi circondati da un muro, sempre più piccoli, più frammentati, esclusi da ogni beneficio economico di cui godono i loro vicini. Il documentario non è frutto della propaganda di Hamas, ma anzi - come tutte le voci più critiche e più lucide di condanna per il sionismo - arriva dall'interno del mondo ebraico.