mercoledì 10 dicembre 2014

Raccontare Memling.

MEMLING: RINASCIMENTO FIAMMINGO.
11 ottobre 2014 - 18 gennaio 2015.
Scuderie del Quirinale, Roma.
www.scuderiequirinale.it

Invitato mercoledi scorso per una visita serale, questa è «Raccontare Memling» by S3Keno...
Volendo, QUI anche in alta definizione.

martedì 9 dicembre 2014

giovedì 4 dicembre 2014

Kuore come strenna natalizia.

Il buon Andrea Voglino con questo suo pezzo sui 10 consigli fumettosi per i regali di Natale pubblicato su Il Manifesto, mi ha fatto venire in mente che… si, insomma… che veniate o meno a Più Libri Più Liberi (dove potrete incontrami di persona) «Kuore nella notte» potrebbe essere davvero quel regalo di Natale che ancora vi mancava: originale, divertente, romantico, anticonvezionale, attualissimo… e anche economico!!! ;)

Un romanzo a fumetti da regalare a quel vostro nipote adolescente in piena tempesta ormonale, a quel vostro collega nerdissimo che bisogna assolutamente salvare dal tunnel di manga e supereroi, a quel vostro amico hipster che si studia sempre COSA mostrare in Metro quando legge le graphic novel da poser, a quella vostra nuova fidanzata in fissa per “X-Factor” che pensa che ciò che fa Fedez sia rap!

Ma, scherzi a parte, anche alle persone a cui volete davvero bene, visto che - fondamentalmente - è un libro che parla d’amore. Amore tra un ragazzo e una ragazza. Amore per le proprie passioni e i proprio valori. Amore per Roma, nonostante tutti i suoi difetti e la difficoltà di viverci.
Ecco: un modo per far conoscere UN’ALTRA ROMA POSSIBILE (di cui spesso si ignora l’esistenza) a chi ci volete un sacco bene!

Un romanzo a fumetti da regalare, arricchito“personalizzato” con dedica dell’autore (per chiunque mi direte voi) e “schizzo” originale sul frontespizio. Con quale altro libro potreste fare una cosa del genere?
E se non aveste modo e/o tempo di passare al Palazzo dei Congressi tra venerdi e domenica - dove posso dedicarvelo "dal vivo" - potrete tranquillamente scrivermi a info@liskaprod.it e ci mettiamo d’accordo, spese di spedizione comprese ;)

Dai, che il Natale è quasi alle porte.
Un Natale… di Kuore!!!

lunedì 24 novembre 2014

sabato 8 novembre 2014

Dove trovare KNN?


Da quando è uscito Kuore nella notte, ci sono molti amici e/o conoscenti (in molti casi persone che non frequentano fiere o fumetterie) che mi chiedono: «Dove posso acquistarlo?»
Solitamente io rispondo: «In libreria!»
Dando per scontato che almeno quello - la libreria - sia un luogo in cui QUALCHE VOLTA entrano per conto loro, anche fosse per un paio di libri all’anno ;)

Ora, è chiaro: io non mi chiamo Zerocalcare e la mia casa editrice - pur se di massima qualità - non ha la forza commerciale di una Mondadori, tanto per dirne una.
Ma i loro libri sono comunque distribuiti a livello nazionale da Me.Li. - Messaggerie Libri, cioè il più importante distributore italiano per le librerie di varia.

Questo cosa vuol dire?
Semplice: che in libreria dovreste trovarlo, tanto più se si tratta di grosse catene. Ma se anche quella specifica libreria che frequentate abitualmente non dovesse averlo (semplicemente perché non l’ha ordinato)… beh, potete fargliela ordinare voi, come QUALSIASI altro libro pubblicato in Italia con regolare codice ISBN, che lo fa ESISTERE in catalogo.
Se ordinate il libro, Messaggerie Libri glielo porta in pochi giorni.
A voi basta dire al vostro libraio di fiducia titolo, autore e editore.
Titolo: Kuore nella notte
Autore: Stefano Piccoli
Editore: Tunué
Codice ISBN (facoltativo): 978-88-6790-122-7

Ma se anche trovaste FATICOSO arrivare fino in libreria (e doverci pure ritornare quando vi confermano l’arrivo del vostro ordine) allora c’è pur sempre il web, per chi ne è avvezzo.
Kuore nella notte è raggiungibile in mille modi.
Attraverso lo store Tunué.
Ma anche su Amazon.
Oppure su La Feltrinelli.
O ancora su Ibs.
E via dicendo, su tutte le maggiori piattaforme di e-commerce.
TUTTO CHIARO?
#daje

martedì 4 novembre 2014

KNN feat. Militant A

Tratto dalla presentazione di «Kuore nella notte» di sabato 4 ottobre 2014 a Romics, moderato da Sergio Algozzino con ospite Militant A di Assalti Frontali. Che ha detto:

«Il fumetto parla di cose che toccano il mio mondo, il mondo del rap. E io sono venticinque anni che faccio rap. Dagli anni ’80, la vecchia scuola. Quindi me lo sono letto con piacere e devo dire che è un bel fumetto, che ha vari piani di lettura, che ha una trama in cui sì - è vero - c’è Roma, ma soprattutto c’è un mondo, il mondo dei ragazzi che vivono di graffiti. Che io conosco abbastanza bene, e che secondo me è un mondo SANO dentro le metropoli. In questi venticinque anni ho visto crescere tante generazioni di pischelli. Molti di loro si appassionano a varie cose, che sia la propria squadra del cuore o qualsiasi altra cosa, ma c’è anche chi passa la vita dentro ai centri commerciali. Poi ci sono quelli che vivono per fare un graffito sul muro e - secondo me - questi sono un modello sociale che magari ce ne fossero di più in giro! Cioè un modello sano e creativo dentro la città. Avendo conosciuto e incontrato moltissimi di questi ragazzi che vivono per dipingere o per mettere dischi e fare scratch, penso in alcuni casi vivano in un proprio mondo che a volte è addirittura FUORI dal mondo che è dentro la città. Infatti a me piace molto il momento in cui il vigilante entra dentro la Snia Viscosa, trova quelli che facevano i “cattivi” con i “buoni” e gli dice: “Voi non sapete nemmeno il veleno che io c’ho dentro”… ecco, io lì ci ho visto IL VERO, ci ho visto il fatto che chi fa i graffiti cerca in qualche modo di uscire fuori da quel veleno in cui invece è affondato il vigilante. Quella secondo me è una delle scene più rivelatorie di tutta la storia perché - appunto - ti racconta come chi cerca di dipingere, chi cerca di fare qualcosa attraverso l’hip hop, cerca comunque una via di uscita positiva e creativa al tritacarne che poi fondamentalmente è la metropoli.
Loro vivono questa cosa, vivono un amore “fantastico” che diventa uno sfogo anche per la crew rivale, che poi a loro volta si trova davanti al vero veleno, senza nemmeno aspettarselo! Ci ho trovato questa cosa che mi è piaciuta molto: ci ho trovato l’innocenza e la forza della creatività positiva della street art in un mondo che poi è molto più cattivo e malvagio, che ti stritola non appena può.
Malgrado questo, l’hip hop e i graffiti sopravvivono sempre e si riproducono nel corso degli anni. Io sono trent’anni che li vedo. Malgrado si cresca e si succedano le generazioni, i muri sono sempre ricoperti da nuovi pezzi e da nuove tag.
Secondo me “Kuore nella notte” è un bellissimo omaggio che Stefano fa, conoscendo molto bene questo mondo. Poi certamente c’è il rap di sottofondo, si sono tantissimi altri simboli dietro, forse addirittura troppi riferimenti e troppi input, che però sono comunque importanti, perché danno profondità al racconto. Mentre lo leggevo, inizialmente pensavo che raccontasse una storia senza questo tipo di contrasto, invece poi esce molto bene questo aspetto che conferisce al libro un valore formativo ed originale rispetto a tante altre storie basate su questa cultura, proprio per via di questa cattiveria - quella della città - che arriva d’improvviso contro l’innocenza di questi ragazzi».

Nient'altro da aggiungere.
Se non ringraziare Matteo "KingKazuma" Gaspari per avermi fornito il video dell'incontro.

lunedì 27 ottobre 2014

Tutti a Lucca!

Ed ecco che mancano tre giorni a Lucca Comics & Games 2014.
In realtà io arriverò venerdi all’ora di pranzo - anche se la fiera comincia comunque giovedi - e arriverò davvero FOMENTATO, sia per via di «Kuore nella notte» (che è pur sempre una novità allo stand Tunué) e sia per l’albo Numero Zero della nuova serie del Massacratore ad opera di Emilio Caccaman, che verrà REGALATO (!) e che troverete in Self Area allo stand Crossover Gangbang.

Detto questo, sono già diverse settimane che tutte le pagine di tutti i social network sono PIENE di annunci sulle novità che si troveranno in fiera (grazie ai quali mi sono già segnato le cinque/sei cose da acquistare), di “calendari” con le session degli autori, di promozione a tutto spiano (io stesso da una mesata sono in piena fase di loop promotion, vorrei ben vedere)… e comunque sia, fino a qui tutto regolare.

La cosa di cui invece non mi capacito, sono le polemiche e/o i flames prelucchesi.
Sono infatti diversi giorni che sto leggendo incomprensibili status, spesso postati da autori già affermatissimi (e spesso farciti di aggettivi piuttosto PESANTI) che riguardano presunti haters (e sull’abuso di questo termine mi sono già espresso), presunti professionisti che spalano merda (?) sul lavoro degli altri, presunte ex celebrità (?) che parlano male di certi personaggi o certe testate testate e poi di nascosto mandano prove per lavorare con quei personaggi e quelle testate, presunti professori di scuole di fumetto che aizzano i propri presunti alunni contro presunti autori, presunte “stanze segrete” (?), presunti wannabe invidiosi, presunti "falliti" frustrati, presunte meteore degli anni ’90 e via dicendo… e io davvero NON CAPISCO DI CHI E/O COSA CAZZO STANNO PARLANDO!!!

Che poi io ‘sta cosa in effetti non l’ho mai capita fino in fondo.
Se sei davvero un professionista, se sei davvero convinto della qualità e dell'ONESTA' del lavoro che stai facendo (cito: “ad altissimi livelli”) cosa minchia te ne frega di quello che certa gente dice/scrive sulle proprie paginette Facebook?
Io ‘sta cosa la vedo SOLO nell’ambiente del fumetto. Anche da parte dei “grandi” (inteso come autori famosi e affermati). Perché - per altri motivi, lo sapete - frequento anche altri ambienti, come quello della musica italiana. E in quei lidi NON VEDO MAI gli artisti famosi/affermati che si mettono a spulciare una ad una tutte le cose cose che vengono dette/scritte nelle pagine Facebook, nei forum, nei blog, nei commenti, bla bla bla.
Forse non ne hanno davvero il tempo. O l’interesse. Visto che hanno dischi da realizzare, tour da intraprendere, serate da riempire, video da girare.

E invece qui - nel nostro amato fumetto, tanto più prima di Lucca - tutti si riempiono la bocca con la parola “professionismo” ma poi - evidentemente - passano ore sui social network a cercare ogni singola sillaba venga scritta su di loro e sul proprio lavoro! Poi dici perché venga ancora considerato un ambiente "piccolo", un po' provinciale, a conduzione familiare.

Il mio consiglio?
Fottetevene allegramente.
Mancano tre giorni a Lucca, pensate semplicemente al vostro lavoro (che parla sempre e comunque da solo), ai vostri impegni fieristici, ai vostri lettori… e ci vediamo tutti a Lucca belli carichi, che ci sarà da divertirsi :)
#state_senz_pensieri

mercoledì 1 ottobre 2014

Di pagina 53.

Che poi è una pagina di «Kuore nella notte».

Dunque.
Che il mio nuovo romanzo a fumetti «Kuore nella notte» per la Tunué viene presentato in anteprima nazionale a Romics ve l’ho già detto. Poi nelle settimane seguenti raggiungerà le librerie di varia e le fumetterie in tutta Italia, con una release ufficiale fissata per il 16 ottobre 2014.
E se non si era ancora capito, questa è la copertina:

Dopodiché parliamo di questa famosa pagina 53.
Una tavola a cui tengo particolarmente, per cui - nel separarmene - mi si spezzerà un pezzetto di cuore. O anche di Kuore. Ma perché dico “separarmene”?
Perché la regalo!!!
Però, prima di spiegarvi COME e a CHI, lasciate che vi dica un paio di cose su questa illustrazione. E lo faccio utilizzando un’altra pagina del mio libro, tratta da una ricca sezione di sketches, layouts, outakkes & altro che troverete in appendice al fumetto vero e proprio, intitolata «Telling a storytelling».
Nella quale - per l’appunto - racconto il mio racconto e molti dei suoi “dietro le quinte”: appunti, aneddoti, trucchi del mestiere (svelati) e curiosità varie. Et voilà!

Bene, a questo punto parliamo proprio di pagina 53.
Perché da giovedi 2 a domenica 5 ottobre - durante Romics - chiunque acquisterà una copia di «Kuore nella notte» riceverà un coupon numerato (sulla cui matrice - che resta a noi - segneremo nome, cognome e mail) con il quale parteciperà automaticamente all’estrazione della tavola originale in questione!!!
(Addirittura già incorniciata, come nell’immagine postata sotto).
Dopodiché effettueremo l’estrazione lunedi 6 ottobre 2014 e quello stesso lunedi sera annunceremo il vincitore sulla pagina Facebook del libro. Tutto chiaro, no?
In bocca al lupo, allora :)

martedì 16 settembre 2014

«Kuore nella notte» is coming...

QUI la pagina Facebook ufficiale

«Kuore nella notte»
di Stefano “S3Keno” Piccoli
Tunué • Le Ali n°7
cm.15x21 • 112 pagine in B/N
ISBN: 978-88-6790-122-7
€ 9,90

mercoledì 13 agosto 2014

Sarà che.

Sarà che questa mattina non sono nemmeno passato in edicola, ma dalle strade di questa città non odo nessuna rivoluzione.
Non sento alcun vento di cambiamento.
Che sia anche solo un venticello.
Soltanto noia e canicola.
D'altronde - ce lo insegnavano tanto Gil Scott-Heron quanto i Piombo a Tempo - «la rivoluzione non sarà trasmessa in televisione».
Figuriamoci su Facebook.

Sarà che anch'io SORRIDO quando leggo certe elucubrazioni di certi giovani autori magari non ancora ventenni e legittimamente pieni di fotta, quando - in una gran confusione tra ingenuità, complottismi e il proprio essere wannabe - parlano di «Casta del fumetto italiano» rivolgendosi ai soliti colleghi più "vecchi" e più affermati che sono tutti amici tra loro… ma se poi proprio uno di questi ultimi, un celebrassimo curatore di testata, parlando di un ambiente che vive ACCANTO al nostro ma che NON E' il nostro, definisce il cinema italiano come «un mercato dominato dai vecchi, dominato dalle Caste» (in questo video, al secondo minuto e mezzo circa), ne avessi sentito uno che - a lui - lo perculi con «Gomblotto! GOMBLOTTO!!!» ;)
E sarebbe altresì curioso, a questo punto, sapere COSA ne pensino i "nostri" numerosi amici che lavorano nel cinema e per il cinema, dalle produzioni di Cinecittà a quelle più indipendenti. Compresi giornalisti e testate.

Sarà che viviamo in un ambiente davvero strano. Dove basta la release del primo trailer in italiano del prossimo film di fantascienza di uno dei registi più straordinari del cinema contemporaneo per sentirsi dire dai nostri puntualissimi espertoni che egli oramai «fa cagare» (ovviamente solo perché suddetto regista vive dall'altra parte del mondo e non può leggere tali giudizi, altrimenti - e l'ho visto accadere più volte con i miei occhi - se ci fossero a cena insieme passerebbero l'intera serata a leccargli il culo) mentre se quell'importante editor di quell'importante casa editrice ogni mese scrive quattro minchiate messe in fila (e non c'è davvero altro modo di definirle) eccoli tutti lì a chiamarli «capolavori pop».

Sarà che, vabbe'… followa 'sta cippa, mo'

domenica 3 agosto 2014

Israele, Palestina, Gaza.

Informarsi non è mai una cosa rapida.




A volte è vera e propria ignoranza.
Da qui il facile antisemitismo e/o antisionismo che le drammatiche cronache delle ultime settimane stanno alimentando a dismisura.

Altre volte è semplice disinformazione.
Spesso addirittura pigrizia, anche solo di leggere cose che superino i 140 caratteri di un tweet.

Raccolgo in questa sede alcune delle cose migliori lette in questi giorni.
E tanto per capire il senso del post, parlo di cose che sono state scritte da personalità ebree!

Parto da Ilan Pappè, intellettuale e storico israeliano, con un brano dal suo libro La pulizia etnica della Palestina (Fazi, 2008):

«Per gli israeliani, riconoscere i palestinesi come vittime delle azioni di Israele è fonte di profondo turbamento, almeno per due motivi. Sia perché dovrebbero fare i conti con l'ingiustizia storica che metterebbe Israele sotto accusa per la pulizia etnica della Palestina del 1948 e in dubbio gli stessi miti fondanti dello Stato di Israele, sia perché emergerebbero una miriade di problemi etici che avrebbero implicazioni inevitabili per il futuro dello Stato. Il riconoscimento dei palestinesi come vittime è collegato a paure psicologiche profondamente radicate poiché comporta un'indagine sulle percezioni personali di ciò che "è accaduto" nel 1948. Secondo molti israeliani - e come continuamente viene ribadito dalla storiografia ufficiale israeliana e da quella popolare - nel 1948 Israele fu in grado di costruirsi in Stato-nazione indipendente su una parte del Mandato della Palestina perché i primi sionisti erano riusciti a "creare degli insediamenti in una terra senza popolo" e a "far fiorire il deserto". L'incapacità degli israeliani di riconoscere la ferita che i palestinesi subirono è ancora più evidente se si confronta il modo in cui la letteratura nazionale palestinese racconta la storia della Nakba, un trauma che alcuni continuano a vivere nel presente».

«Per gli israeliani accettare di riconoscere i palestinesi come vittime di un male in corso di cui sono responsabili, significherebbe minare il proprio status di vittime. Avrebbe implicazioni politiche su scala internazionale, ma - forse a livello molto più critico - scatenerebbe anche ripercussioni morali ed esistenziali sulla psiche degli ebrei israeliani: dovrebbero riconoscere di essere divenuti l'immagine speculare dei loro incubi peggiori».

• • •

Dopodiché tre citazioni di David Ben-Gurion, uno dei padri fondatori di Israele, uomo politico che - dal 1949 - è state anche il Primo Ministro del Paese.

«Ci sono stati l'antisemitismo, i nazisti, Hitler, Auschwitz, ma gli arabi in questo cosa c'entravano? Essi vedono una sola cosa: siamo venuti e abbiamo rubato il loro paese. Perché dovrebbero accettarlo?»

«I villaggi ebraici sono stati costruiti al posto dei villaggi arabi. Voi non li conoscete neanche i nomi di questi villaggi arabi, e io non vi biasimo perché i libri di geografia non esistono più. Non soltanto non esistono i libri, ma neanche i villaggi arabi non ci sono più. Nahlal è sorto al posto di Mahlul, il kibbutz di Gvat al posto di Jibta; il kibbutz Sarid al posto di Huneifis; e Kefar Yehushua al posto di Tal al-Shuman. Non c'è un solo posto costruito in questo paese che non avesse prima una popolazione araba».

«Tra di noi non possiamo ignorare la verità. Politicamente noi siamo gli aggressori e loro si difendono. Il paese è loro, perché essi lo abitavano, dato che noi siamo voluti venire e stabilirci qui, e dal loro punto di vista li vogliamo cacciare dal loro paese» (da un discorso del 1938).

• • •

E ancora Gideon Levy, giornalista israeliano che scrive per il quotidiano Ha'aretz.

«È così facile essere un israeliano: la tua coscienza è pura come la neve, perché tutto è colpa di Hamas. I razzi sono colpa di Hamas. Hamas ha cominciato la guerra, senza alcuna motivazione. Hamas è un’organizzazione terrorista. I suoi esponenti non sono altro che bestie, nati per uccidere, fondamentalisti. Circa 400mila palestinesi hanno dovuto lasciare le loro case. Più di 1.200 sono stati uccisi. L’80 per cento erano civili. La metà erano donne e bambini. Circa 50 famiglie sono state spazzate via. Le loro case sono state distrutte con loro dentro. La tragedia ha raggiunto le dimensioni di un massacro, ma Israele ha le mani e la coscienza pulite. È tutta colpa di Hamas.

Lasciamo l’analisi di questa negazione della realtà agli psicologi. Non si vedeva una simile rimozione da quando Israele accusava i palestinesi di uccidere i loro bambini per mezzo dell’esercito israeliano. La malattia ha incubato per anni e ora si è trasformata in un’epidemia. La coscienza nazionale non ha mosso un muscolo davanti a queste atrocità, e ci sono forze che stanno lavorando per mantenere la situazione com’è.
Nonostante la nube maligna della negazione, pur comprendendo quanto sia facile incolpare Hamas (Israele non ha mai avuto un nemico così conveniente) dobbiamo chiederci se davvero è tutta colpa loro e se Israele è davvero innocente. La verità è che davanti alle immagini di Gaza, insanguinata e distrutta per mano israeliana, questa tesi è del tutto inconcepibile.

Hamas è una spietata organizzazione terrorista? Com’è possibile che in questa guerra sia più colpevole dell’esercito israeliano? Soltanto perché non “bussa sul tetto” 80 secondi prima di distruggere una casa? Perché punta i suoi razzi contro i civili? Lo fa anche Israele, ma in modo molto più efficace. Perché vuole distruggere Israele? Quanti israeliani vogliono distruggere Gaza? In questo momento sappiamo tutti chi sta distruggendo chi.
L’ipocrisia di Israele raggiunge il vertice nell’ostentata preoccupazione per i civili di Gaza: guardate come li tratta Hamas, urlano i democratici israeliani, così attenti ai diritti dei palestinesi. Hamas ha un atteggiamento tirannico, ma la sua tirannia non è nulla in confronto a quella di Israele, che ha imposto alla Striscia di Gaza un assedio di 7 anni e un’occupazione che dura da 47 anni.

L’assedio è la prima causa della distruzione della società e dell’economia di Gaza, e tante grazie a chi sostiene di volerla salvare, a chi si preoccupa della sua mancanza di democrazia, a chi si stupisce per la corruzione, a chi denuncia il fatto che i leader palestinesi vivono in hotel di lusso o in bunker nascosti, a chi si indigna per i soldi spesi per i tunnel e i razzi anziché per i parchi gioco e le attività ricreative. Grazie, grazie tante.

Ma che dite di Israele? I suoi leader vivono per caso nelle tende? Non è vero che il governo spende cifre enormi per inutili sottomarini ed esplosivi segreti invece che nella sanità, nell’istruzione e nello stato sociale? Hamas è fondamentalista? Israele sta per diventarlo. Hamas opprime le donne? È sbagliato, ma accade anche in Israele, quantomeno all’interno di una grossa comunità.

Ma perché gli abitanti di Gaza hanno eletto Hamas e non dei leader più moderati? Semplicemente perché i moderati hanno provato per anni a ottenere risultati, qualsiasi risultato, e da Israele hanno ricevuto in cambio soltanto umiliazioni e rifiuto. Israele ha mai dato ai palestinesi un motivo per scegliere la diplomazia dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) invece della violenza di Hamas? L’Olp li ha forse avvicinati di un millimetro all’indipendenza e alla libertà?

Hamas, per lo meno, ha ottenuto la liberazione di mille prigionieri e ha mantenuto un po’ di dignità, seppure al prezzo altissimo che gli abitanti di Gaza sono ora disposti a pagare. Cosa ha ottenuto per il suo popolo il presidente palestinese Abu Mazen? Niente. Una foto con Obama.
Personalmente non sono un ammiratore di Hamas, al contrario. Ma il tentativo di Israele di dare tutta la colpa a Hamas è inaccettabile. Presto la comunità internazionale giudicherà le atrocità di questa guerra. Hamas sarà criticata, giustamente, ma Israele sarà condannato e ostracizzato molto di più. E gli israeliani diranno: “È colpa di Hamas”. E il mondo intero riderà».

• • •

Se non vi basta e volete spendere un'ora del vostro tempo per conoscere più a fondo la questione israeliano-palestinese (tenendo conto che la conoscenza non è un doppio cheeseburger con patatine e Coca grande) c'è anche QUESTO DOCUMENTARIO di Ronen Berelovich. Anche lui cittadino israeliano.
La visione mostra il metodo scientifico con il quale si sta annientando il popolo palestinese. Dalla nascita dell'ideologia del sionismo in Europa alla fine dell'Ottocento, fino a oggi, mostra il percorso attraverso il quale i palestinesi vivono come in una grande prigione a cielo aperto.
Gaza è una gabbia. La Cisgiordania ospita ormai solo insediamenti arabi circondati da un muro, sempre più piccoli, più frammentati, esclusi da ogni beneficio economico di cui godono i loro vicini. Il documentario non è frutto della propaganda di Hamas, ma anzi - come tutte le voci più critiche e più lucide di condanna per il sionismo - arriva dall'interno del mondo ebraico.

venerdì 4 luglio 2014

Bruno.JJ1/05

«Trentuno pecore e tre alveari»...



martedì 1 luglio 2014

giovedì 26 giugno 2014

giovedì 19 giugno 2014

Una storia del Webcon.

Una storia del Webcon. Una su mille, che potrei raccontarvi. Cronologicamente, solo l'ultima. Ma comincio proprio da questa.

Venerdi scorso, nel primo pomeriggio, Repubblica.it ha pubblicato questo articolo dedicato al Webcon, che è stato nella loro homepage per tutta la giornata (poi, pur rimanendo on-line, è finito in automatico nella sezione Tecnologia). Alle 16:36, quindi con un feedback quasi immediato, ricevo la mail del Managing Director italiano di «uno dei primi quattro fornitori di software più importanti del mondo», il cui fatturato supera i 600 milioni di dollari annui.

Che mi scrive: «Ho letto con attenzione l’articolo uscito su Repubblica che vi riguarda. Posso saperne di più?»

Tutto chiaro fino a qui?
Vuole saperne di più, va benissimo. Anche se l'articolo in questione dichiara esplicitamente di COSA abbiamo bisogno. Ma vorrei porre la vostra attenzione sul fatto che è lui - il Direttore della sede italiana di questa multinazionale - a contattare noi (che poi era lo scopo del pezzo); non siamo stati noi a cercare lui, come invece ci è capitato di fare infinite volte. Che potrebbe sembrare una sottigliezza, ma non lo è affatto. Sia da un punto prettamente professionale, che da un punto di vista psicologico.
Ma sto divagando, perdonatemi. Andiamo avanti.

Nel tentativo di evitare inutili scambi epistolari di mail (che per "saperne di più" sul Webcon ci sarebbero un milione di cose da dire) lo invito con estrema cortesia ad incontraci di persona uno qualsiasi dei giorni successivi, come a lui viene più comodo.
E lui mi risponde: «Sono in partenza per Londra, di rientro giovedi. Se vuole intanto anticipare qualcosa via mail le sarei grato».

OK, d'accordo.
Avrei preferito un appuntamento, ma non c'è problema.
Mi armo come sempre di santa pazienza e riscrivo daccapo, per l'ennesima volta, una lettera che "spieghi" COSA sia il Webcon e QUALI siano i suoi fini (si, lo so, sono un idiota: non faccio MAI il copia & incolla delle mie presentazioni, ma le riscrivo OGNI VOLTA daccapo "personalizzandole" il più possibile per le specifiche aziende a cui le sto inviando); gli parlo dei contenuti, del programma, dei patrocini, dei partners e degli ospiti. Gli parlo di aggregazione, di numeri, di community, di influencers e di engagement. Gli parlo anche dei costi, ovviamente. Ma soprattutto dei VALORI che vuole esprimere questa manifestazione, di quanto un Main Sponsor possa diventare portavoce di quegli stessi valori in termini di immagine e di merito, potendosene attribuire a pieno titolo la paternità.

E lui mi risponde con cinque parole: «E quanto vale una partecipazione?»

Uhm, percepisco SUBITO qualcosa che non mi quadra.
Non è la prima volta che mi viene chiesto. Ma in altri modi, con altri tempi, insieme e molte altre domande. Sono un po' perplesso, se penso che mi ha cercato lui dopo aver letto il pezzo su Repubblica. Ma con tutta la cortesia del mondo gli rispondo nuovamente. Proponendogli diverse tipologie di "partecipazione" sulla base del Piano Sponsor che avevamo preparato più di un anno fa (ma che oramai non stavamo nemmeno più seguendo). Non nascondendogli che speravo che il loro contatto fosse frutto di un impeto di lungimirante mecenatismo finalizzato a candidare il loro brand come Main Sponsor dell'intera manifestazione, coprendo quei costi che lui stesso aveva potuto leggere nell'articolo in questione. La famosa impasse.

Mi risponde: «Stefano, siamo fuori budget e questo e' un momento di crisi per tutti. Amen, aggiungo io».  

Amen. Aggiungo. Io.
Ecco, a questo non sono pronto.
Non sono abituato ad un linguaggio del genere, tanto più quando il mio interlocutore è un Amministratore Delegato, un Direttore Marketing e Comunicazione o comunque il megadirigente di una grande azienda. E in diciotto mesi di lavoro di interlocutori del genere ne ho avuti davvero TANTI, credetemi.
Come può il Direttore della sede italiana di una multinazionale esprimersi in questo modo?
«Amen, aggiungo io»?!?

Ne sono un po' infastidito, non ve lo nascondo.
Ma gli rispondo per l'ennesima volta (io che non volevo parlarne per mail) con tutta la cortesia del mondo, che prima o poi si esaurirà.
Facendo un po' il finto ingenuo, gli chiedo se quel suo Amen è da intendere sulla possibilità della totale copertura dei costi (che posso facilmente immaginate "fuori budget") oppure se è definitivo su tutta la questione, senza nemmeno esserci realmente confrontati su una possibile soluzione.

E qui viene il bello: «Amen significa che non possiamo gettare soldi ovunque e che quindi, per come sono messe le cose, onde non potendoci permettere Main Sponsorship come da Lei suggerito, allora non possiamo far altro che rinunciare a questa opportunità»

Ricevo questa mail e rimango BASITO.
Si, avete letto bene: loro non possono gettare soldi ovunque!!!
Ed è a questo punto che mi rendo pienamente conto dell'allarme che mi era già suonato nella testa sin dalla sua prima risposta di cinque parole. La percezione si trasforma in chiarezza, perché focalizzo sempre meglio l'interlocutore con cui sto carteggiando. Una persona che - pur ricoprendo un ruolo professionale di massimo livello per conto di una famoso brand internazionale - si sta rivelando un gran maleducato.

Incredibilmente non perdo la pazienza nemmeno qui.
Beh, detto tra noi mentalmente l'ho già mandato a 'fanculo! E' chiaro ;)
Ma gli rispondo che - pur rinnovandogli il mio invito ad incontraci - se una sponsorizzazione del genere la vede semplicemente come un "gettare soldi ovunque" anziché come un valido investimento, allora quel suo Amen assume un senso da ambo le parti.

E lui: «La ringrazio ma la nostra risposta è no»

Come se io in quel momento gli avessi chiesto qualcosa.
Come se fossi stato io a cercarlo.

E tutto questo, prima ancora che tornasse da Londra.

Fine della storia.
C'è gente così là fuori.
E i vostri computer montano i loro software.
#sapevatelo
#no_comment

sabato 14 giugno 2014

JamMentality

Che mi sia decisamente perso il contatto con la nuova scena hip hop italiana è cosa nota. Ho parlato più volte di questo "distacco" dovuto in gran parte dall'ovvio gap generazionale (nell'ascoltare - una volta superati i quaranta - rime di pischelli con argomenti da pischelli) che poi mi porta inevitabilmente a rimanere ancorato solo alle crew, i dj's o gli mc's con cui sono cresciuto. Ad ascoltare solo determinate cose, peraltro sempre le stesse e sempre più rare.
Cose preziose, come direbbe Kaos.

Questo per dire che, rispetto ai tempi di BIZ Magazine, tra me e l'underground italiano c'è una voragine. Decine, centinaia, di piccole produzioni indipendenti che continuano ad uscire mese dopo mese. Che spesso vedo/leggo solo di sfuggita su quei soliti quattro siti specializzati in rap. Nomi di gruppi, di singoli rappers, titoli di EP o di interi album che non mi dicono assolutamente nulla. Che non conosco né riconosco.

Poi però succede che per motivi assolutamente NON legati alla musica, mi arrivi tra le mani questo "JamMentality" della crew romana Luci Soffuse. Succede che lo metta nel mio lettore mentre guido, e che - ascolto dopo ascolto - ne rimanga davvero sorpreso.

Credo dipenda principalmente da un fattore (non affatto casuale, in virtù della premessa che ho fatto): cioè il suo sapore assolutamente old school. Tanto nelle rime, quanto nelle basi, che - a differenza di tanti altri album - fa si che me lo ascolti fino in fondo, muovendo la testa a tempo, cosa oramai quasi più unica che rara.

In effetti che fossero "cresciuti" rispetto al loro precedente EP me ne ero già accorto dal video di "Dove restiamo", il primo singolo estratto da questo album. Soprattutto nel suono, più asciutto e pulito. Un merito da attribuire a Brasca Produzioni (che firma 4 tracce su 13), ma non crediate che le produzioni di Zero siano da meno. Anzi.

Grigio, Dunk, Brama, El Gabro e Zero - ensemble sangue & oro con una storia che lo porta da Colli Albani al Corviale, passando per Piramide, ora affiliato Grimlock UniversityGrimlock Records - ci consegnano un disco prepotentemente GENUINO; una valanga di rime - dal flow tipicamente romano - senza tregua e senza concessioni, pregne di argomenti CREDIBILI e di storytelling (cioè l'antitesi della superficialità di un certo rap milanesotto e patinato che ben conosciamo); con basi POTENTI e looppatissime, proprio come piaceva a noi. Come certe cose dei Gang Starr, oserei dire.
Una questione di attitudine e di mentalità, allora.
Di (jam)mentality, per l'appunto.

Tredici pezzi tra cui - dovendo sceglierne qualcuno - oltre a quello che titola l'intero album, segnalerei sicuramente "Cosa conta", "I'm a good man" (forse la mia preferita in assoluto, dal sample ipnotico), "La melodia del rapper serio" con il feat. di Lord Madness (una nostra cara vecchia conoscenza), "Feeling Bad" con il feat. di Phedra (una delle poche mc's che si distinguono davvero nella scena femminile) e "Nessuna risposta", che poi è anche il secondo singolo - con relativo video - estratto da "JamMentality".

Se questo disco non mi fosse piaciuto, credetemi se vi dico che non ne avrei nemmeno parlato.
Invece eccoci qui, dando a Cesare ciò che è di Cesare.
Perché ci sono tante cose della scena capitolina contemporanea che non amo per niente (e parlo soprattutto di contenuti, non di tecnica o stile), mentre è quando ascolto un disco come questo che poi mi ricredo, rendendomi conto che - grazie al Cielo - c'è sempre qualcuno che raccoglie "nel modo giusto" il Testimone che gli è stato passato da questa Cultura.
E Luci Soffuse rendono onore e merito al rap di Roma.

venerdì 13 giugno 2014

martedì 15 aprile 2014

SON TUTTI F#### col C### DEGLI ALTRI?

O anche: di giornalismo, benefits e social networks per un post inconsapevolmente ISPIRATO dall'incipit di un "amico" giornalista in Rai e da un paio di selfie di troppo!!!


E' dal 1998, cioè da tipo sedici anni, che - vuoi per scherzare, vuoi per cagare il cazzo - periodicamente mi sono dovuto sorbire frecciate o perculate varie sul fatto che fossi "un giornalista".
In realtà anche da prima, perché le mie collaborazioni su Rumore (sia musicali che fumettistiche) risalgono agli anni precedenti, ma è nel '98 che - con la direzione di BIZ Magazine per la Magic Press - feci una scelta molto radicale, che mi portò a decidere di uscire dalla Factory per dedicarmi ad altro, sia perché non stavo comunque ottenendo i risultati che volevo e sia perché - non solo in termini economici - la scrittura mi stava motivando molto di più.
Dopdodiché 35mm.it, la Nexta, Rockstar, la Fox, Vanity Fair, le consulenze discografiche, gli uffici stampa, le agenzie di content providing, la direzione artistica (comunque in veste di giornalista) per concorsi ed eventi.
E anno dopo anno mi sono sentito dire di tutto!

Che facevo parte di una "casta" (come se scrivere di musica, culture giovanili o spettacolo ti equipari automaticamente a certi megaconduttori televisivi o superdirettori di quotidiani nazionali), che ero "un servo dei poteri forti" (?), che me la tiravo, che ero uno scroccone.
E intanto - mentre gli autori del settore da cui provenivo si affermavano e mentre la fruizione del web in Italia si allargava (prima dell'arrivo dei social networks, all'inizio soprattutto con i blog) - era tutto un continuo fiorire di facili slogan CONTRO il giornalismo, la stampa italiana, i giornalisti e tutti i loro fottuti privilegi. Era tutto una merda!!!
In alcuni casi erano solo prese in giro, lo so bene.
Ma i molti altri - credetemi - era veleno allo stato puro!

Perché se ricevevi la copia omaggio di un volume o di un CD, se venivi accreditato ad un concerto o a un'anteprima, se ti invitavano ad un festival tutto spesato, eri comunque un fottuto giornalista che godeva di determinati benefits senza motivo.
Poco importa se - nel mio personale percorso - magari sono anche uno di quelli che ad ognuno di questi singoli benefit ha sempre fatto corrispondere un pezzo (che fosse per il mensile specializzato, il settimanale patinato, il sito web o l'agenzia che piazza i tuoi contenuti senza nemmeno il tuo nome in calce all'articolo); poco importa se questo semplice concetto si chiama credibilità, e che grazie al Cielo la maggior parte degli uffici stampa oramai lo sa.

Non solo: se poco poco ne parlavi agli altri, raccontavi certe cose alle persone con cui avevi lavorato/collaborato fino a qualche anno prima (cioè in poche parole se esternavi, comunicavi e condividevi) improvvisamente tu eri quello che si stava solo vantando, che s'era montato la testa e «che due palle 'Ste»...
D'accordo, fino a qui mai stato un problema per me.

Fino all'arrivo (e all'onnipresenza) dei social networks.
Fino al conseguente concetto di "superstar" del web (a.k.a. colui che genera numeri, traffico, engagement), di opinion leader, di influencer.

E anche qui, volendo, prima di procedere faccio un passo indietro nel tempo.
Mercoledi 9 luglio 2008: anteprima esclusiva per fumettisti e bloggers di Hellboy II - The Golden Army per conto di Way To Blue e Universal, nella loro saletta privata di via Po.
Organizzata dal sottoscritto.
Una sorta di proto-esperimento (che negli Stati Uniti era già qualcosa all'ordine del giorno, ma che - per l'Italia - sfido chiunque a trovarmi un precedente analogo a quella data) per il quale venne compilata una LISTA di nomi e mail tra autori, bloggers e editors di case editrici specializzate.
Come appunto la stessa Magic Press, che peraltro stava pubblicando proprio quel personaggio, quindi anche l'amico che nel frattempo ne era diventato caporedattore con almeno altri suoi tre redattori. Che poi non è un caso se quello stesso amico poco tempo fa su Facebook abbia scritto come la gente dimentichi presto, o fatichi sempre a dire un «grazie». Ma sto divagando.

Sia chiaro: non sto dicendo che sia merito di quella "lista" se si è innescato il meccanismo che poi - negli anni seguenti - ha portato a questa fantastica SINERGIA attualmente alla modissima tra agenzie stampa specializzate nel web che organizzano anteprime cinematografiche per conto di alcune majors invitando superstar del fumetto e bloggers come se non ci fosse un domani (e sia altrettanto chiaro: FANNO BENE, se il risultato è avere una striscia di Zerocalcare o del Panda, per dire due fenomeni che nel 2008 dovevano ancora arrivare).
No, sto dicendo un'altra cosa. Cioè che quella "lista" - integrata ed aggiornata nel tempo su dinamiche di successo che esulano da qualsiasi mio possibile intervento - ha comunque CONTRIBUITO ad un percorso, visto che sappiamo perfettamente che tutti gli attuali responsabili di tutte le attuali press agency che ben conosciamo provengono dalla Way To Blue!!!
#patti_chiari_amicizia_lunga

Bene. Torniamo al presente, era di social networks.
Dove con l'iPhone puoi farti un bel selfie davanti al Red Carpet allestito per l'anteprima o la premiere al cinema Adriano, puoi immediatamente postarla su Instagram, Pinterest o Flickr senza poi dimenticare di condividerla su Twitter e Facebook, "geolocalizzandoti" e mostrando subito a tutti DOVE sei di fighissimo, con CHI sei di famosissimo, COSA ti hanno appena regalato di fantastichissimo.
E poi appena finito il film subito i primi tweet a caldo (che quelli generalmente non sono sotto embargo) e ancora foto, status, post e recensioni più o meno calcolate.

E' tutto molto bello: #WE_ARE_SOCIAL!!! :)
E ci credo davvero, non sto scherzando. Visto che sui social media e sull'educazione alla cultura digitale ci sto costruendo un intero evento.

Insomma: anteprime, gadgets, omaggi, viaggi spesati, cene luculliane.
Cioè nient'altro che benefits che derivano dal tuo lavoro, no?
Cioè gli stessi per cui probabilmente per sedici anni hai rotto il cazzo agli altri?

Ma se LO MOSTRI e lo condividi con il mondo - oggi - fa figo, è trend, sei social & cool.
#mostrare #condividere #mostrare #condividere

Poco tempo fa il buon Damir Ivic (altro amico giornalista musicale, molto bravo) scriveva di un concerto a cui era stato la sera prima a Milano dove il pubblico era TUTTO con gli smartphone e i tablet in mano, pressochè per tutta la duranta dello show. Immaginava l'enorme condivisione sociale di quel concerto in rete. Ma, al contempo, poneva l'accento su come - di fatto - ci si potesse perdere la pura emozione della performance dal vivo solo per mostrare agli altri (?) DOVE fossero e COSA stessero facendo in quel momento!

Nel 1998 avevo 28 anni, ero giovane, spensierato, sciallato e senza responsabilità.
A quell'età, anche [fosse vero che] mi fossi montato un po' la testa, che male ci sarebbe stato? Poi si cresce, si cambia, ci si calma, si comincia a prendere tutto per ciò che è davvero, si modificano le scale dei valori e tutto sommato alla lunga CERTE COSE nemmeno ti stupiscono più.
Però tu le hai "scoperte" solo negli ultimi anni, posso capirlo: stai finalmente apprezzando i tuoi benefits e improvvisamente - quando tocca a te, che magari sei pure quarantenne - ti piacciono assai, eh? ;)

• • •

Nota tecnica di chiusura.
Se sei un autore affermato le cui storie vengono lette e apprezzate ogni lunedi su due da decine di migliaia di persone, mi auguro per te che quella storia breve che ne farai (che sia "a solo" come per Londra, oppure a quattro e/o a sei mani) ti venga comunque retribuita OLTRE all'essere stato invitato a quell'anteprima o a quella cena.
Lo dico perché se sei uno dei più importanti autori italiani del momento, questo successo te lo sei guadagnato con il tuo talento, ma per le case cinematografiche è solo business (non beneficenza) e DEVONO considerare anche te come un costo della promozione di quel determinato film.
Lo dico perché - nonostante tutte le chiacchiere fatte fino a qui - molti di questi opinion-leaders/influencer dell'internette, per l'attuale concezione del web italiano te li compri con una cena gratis e un rimborso spese!!!
Mentre noialtri "scrocconi servi dei poteri forti", eravamo comunque dei poveri deficienti a considerare l'omaggio e/o la copertura costi per un viaggio come un benefit, ma poi essere comunque PAGATI per il lavoro che eravamo chiamati a fare… nevvero?
Anche per quella famosa anteprima di Hellboy ;)

mercoledì 26 febbraio 2014

Per tutti.



«Che un musicista si sa, e si misura con l'ambiente, che altrimenti è o non è, non è che un mestierante»

Tendo a fidami sempre del primo ascolto di un disco.
Mi fido del mio ISTINTO, sviluppato in quasi vent'anni di giornalismo musicale. Che poi - in realtà - è qualcosa di diverso dall'istinto vero e proprio. E' casomai una sorta di "mediazione istintiva" tra orecchio allenato (composizione, arrangiamento, suono, missaggio) e pancia, cioè la carica emozionale che un brano riesce a trasmettermi o meno.

Bene: i primi ascolti del nuovo album di Riccardo Sinigallia (che in passato, attraverso Ice One, ho conosciuto ed  incontrato più volte nel suo studio e nei vecchi uffici della Virgin*, che ho ascoltato dal vivo durante un bellissimo concerto "seduti sul divano" a La Palma Club, che nemmeno esiste più) gratificano enormemente sia il mio orecchio che la mia pancia.
Sin dai sette minuti & passa della prima traccia "E invece io", subito emozionate. Per l'appunto.
Dove la voce di Riccardo entra quasi al secondo minuto, dopo pianoforte, chitarre acustiche e qualche voluto - quasi impercettibile - noise di sottofondo (come fossero le scariche elettrostatiche degli strumenti quando si attaccano per cominciare a suonare?). Una roba che l'avrebbe amata anche Battisti!

"Prima di andare via" mi ha convinto immediatamente, sin dalla sua prima esibizione sul palco dell'Ariston. Nonostante tutte le minchiate che sono state dette e scritte (dall'essere troppo tiromancinizzata alle accuse di plagio a "Le vent nous portera" dei Noir Desire). E nonostante Assante e Castaldo, quando - dal loro blog in diretta con il Festival - prendevano scherzosamente in giro la tipica strascicata romana: «Disci che non potremmo essere felisci» ;)

Non avevo invece avuto modo di capire a pieno "Una rigenerazione", forse per via dell'arrangiamento orchestrale di Sanremo. Ma ora che ho avuto modo di ascoltarla nella sua versione "in studio" posso invece dire che così rende davvero al massimo.

Davvero notevole la traccia che titola l'album, "Per tutti": sei minuti e mezzo di pura bellezza espressa in testi e musica. Verso la fine del secondo minuto rallenta, e parte una suite strumentale che culmina quasi un minuto dopo con un potente crescendo elettronico di daftpunkiana memoria (quella migliore, quella di "Discovery").

Ma è con "Le ragioni personali" che - secondo me - l'album raggiunge il suo apice. Mette i brividi, dalle liriche ai fiati. Più che la perfezione della forma-canzone, è semplicemente una canzone perfetta!

E siamo solo ai primi ascolti.
Non riesco a immaginare cosa ne potrò pensare quando lo assorbirò completamente, conoscendone ogni parola, la partitura di ogni strumento.
Della serie: cose buone che escono da Sanremo.
Assolutamente da ascoltare. Per intero.

* A volerla dire tutta, con Riccardo (e Frankie Hi-Nrg) siamo anche andati insieme ad intervistare Eva Henger alla sede di Diva Futura!!! #schicchi #RIP

venerdì 21 febbraio 2014

Tre fasi [Kuore nella notte]

01. Sketch/layout con penna Bic (!) su blocco a quadretti.

02. Matite su fogliaccio A4 (rubato a Giulia).

03. Acquarelli e tempera su carta Fabriano Watercolor Studio 300 gr. a grana fina.

domenica 5 gennaio 2014

La mia su Orfani, e altro.

La prendo molto alla larga: non sono mai stato un lettore Bonelli e/o bonellide, è un formato che non mi ha mai attirato, un tipo di fumetto (nella gabbia, nella costruzione narrativa, etc.) con cui non mi sono mai sentito in linea, che sostanzialmente mi annoia. Sono cose che ho detto e ridetto infinite volte, quindi nulla di nuovo. Ma.

Ma sto acquistando e seguendo Orfani.
Non solo: acquistandolo, di fatto sto supportando Orfani.
E qui apro la prima di una lunga serie di parentesi.
Cioè un concetto che applico da sempre (generalmente quando si tratta di autoproduzioni e/o produzioni indipendenti) ma che - in questo caso - vale per molti dei fumetti che sto acquistando ultimamente, pur non rientrando propriamente nel loro target abituale. Forse semplicemente perché molti degli autori con cui io stesso ho mosso i primi passi (o che sono venuti DOPO ma di cui ho seguito i primi passi) piano piano stanno raggiungendo quei lidi editoriali.
Quindi mi ritrovo ad andare in edicola e a comprare i Tex disegnati da Leomacs; o la miniserie Metamorphosis (Aurea) di Giacomo Bevilacqua, così come il suo nuovo seriale del Panda (Panini); o ancora il Long Way di Diego Cajelli (Aurea) e alcuni numeri de Le Storie (La redenzione del samuraiMexican StandoffI fiori del massacro) fino a Il grande Belzoni di Walter Venturi e - per l'appunto - a Orfani. Che leggerò nelle sua interezza. Anche ci fosse una seconda serie. O una terza.

Ed ecco il punto. Un punto che non a caso lo stesso Walter, che è uomo di cervello assai più fine di quanto lui stesso spesso non voglia far credere (non nel senso che sia scemo, ma che spesso si barrica dietro un tipico atteggiamento romanesco tutto all'insegna del «A me che me frega?»), proprio all'ultima Lucca Comics - mentre scambiavamo due chiacchiere - ha voluto farmi notare: nonostante tutto ciò che si voglia dire, io nell'acquistare un determinato albo sto supportando quel progetto e quell'autore. Capite?

Ci vuole poco a farti passare per uno CONTRO quella roba.
Da loro che però aspettano sempre che quell'albo gli venga regalato.
Da loro che lo incensano sul web e lo difendono a spada tratta, ma non lo acquistano.
Quindi lo ripeto nel caso tu non abbia capito bene il senso: acquistando Orfani, io lo sto supportando nei fatti MOLTO più di te che ne straparli su Facebook dopo che Roberto o Emiliano te ne hanno regalato una copia!!!
Fine della prima parentesi.

Eddaje, su… in fondo siam tutti colleghi, no?
Si, certo: colleghi #stocazzo

Veniamo allora ad Orfani e a me.
Che lo scorso 16 ottobre è uscito il primo numero. E a Lucca doveva ancora uscire il secondo, ma CHIUNQUE abbia incontrato in fiera voleva sapere cosa ne pensassi. E io invece fino ad oggi (che nel frattempo è già uscito anche il terzo) non ho ancora speso una sola parola al riguardo, né qui né altrove. Nulla. Nemmeno con Paolo Campana che pure ne cura la grafica.
Nemmeno con lui che i fumetti Bonelli non se li è mai cagati in vita sua, ma che nei corridoi della fiera mi diceva tutto esaltato: «Le proiezioni parlano già di ottantamila copie vendute!!!»
E lo diceva a me. A me che delle vendite di Orfani non potrebbe fregarmene una cippa di meno.
Figuriamoci di una "proiezione" peraltro assolutamente infondata!

Forse fino ad oggi l'unico a cui abbia veramente dato un parere sincero su Orfani è stato Giulio Fermetti mentre, proprio a Lucca, ci mangiavamo un kebab alle quattro e mezza del pomeriggio! E se l'ho fatto con lui, è solo perché - oltre ad essere una persona squisita, colta, ironica e e intelligente - è anche "fuori da un certo giro". E' un vero lettore, non un autore. Con il quale si riesce ad avere un vero dialogo. Ma sto divagando.

Non sono mai entrato nel merito dei contenuti, dicevamo.
E' vero. Ma è altrettanto vero che - invece - sull'operazione di promozione che è stata fatta per il suo lancio eccome se mi sono espresso. E anche qui (nonostante gli stessi "loro" di cui sopra vogliano pensarla) mi sono testimoni tutti coloro ai quali ho detto che è stata UNA GRANDE OPERAZIONE DI MARKETING E DI COMUNICAZIONE. Studiata bene. Realizzata meglio. Straordinariamente efficace. Insomma: OTTIMA. E sia chiaro a tutti che non sto affatto scherzando. Ne sono rimasto molto colpito, tanto più in virtù del fatto che - da un anno a questa parte - pur essendomi allontanato molto dai fumetti mi sono invece "immerso" totalmente nella comunicazione e nel marketing.
Ecco perché non posso che aver AMMIRATO un'operazione del genere. Fatta nel modo in cui è stata fatta, utilizzando al loro massimo potenziale i social networks, il viral marketing, l'innalzamento a palla dell'hype. Quindi ben vengano operazioni analoghe nel (micro)mondo dei fumetti, in questa eterna guerra dei poveri, in questa sconfinata provincia dei veri imperi economici.

Questa mia ammirazione non l'ho tenuta per me nemmeno con Alessandro Bottero, e non parlo a caso di lui. Anzi: parlo di lui perché adesso - giocoforza (e mio malgrado) - finiamo a parlare anche di Fumettodautore, che dello screditare Orfani sembra averne fatto (tristemente) la sua crociata personale.
Se parlo di Bottero e non di Giorgio Messina, è perché evidentemente su questo argomento a Giorgio non ho davvero niente da dire. A Lucca nemmeno l'ho incrociato, che pare essere stato più occupato a schivare schiaffi da chi storicamente non ne ha mai fatto volare uno in vita sua!

Perché questa sorta di crociata contro Orfani è sciocca. E' ottusa. E' inutile.
Così come sciocca, ottusa, inutile e soprattutto SCONTATA è stata la recensione al primo numero, che sembrava scritta e pronta all'uso prima ancora di averlo letto. Così come sciocche, ottuse e inutili sono le continue frecciate e le continue insinuazioni che fanno al fumetto e/o al suo scrittore anche quando stanno parlando di altro. Magari dedicando un editoriale alle piccole realtà "invisibili" che potrebbero sfuggire all'interno di una fiera enorme come quella lucchese. Un editoriale che prefiggendosi questo fine avrebbe senso. Allora perché dedicare due terzi del pezzo a (ri)parlare di Orfani?

Non mi piace affatto questo atteggiamento di FdA.
Non mi piace, l'ho detto a Bottero, lo sottoscrivo anche adesso.

Ma non mi piace nemmeno l'atteggiamento opposto.
Non mi piacciono gli insulti, le gogne pubbliche, i "tutti contro uno".

Allora se non ti piace Orfani, se lo ritieni una cazzata, non leggerlo. Non dargli peso e considerazione. Ma allo stesso modo se non ti piace FdA, se lo ritieni una cagata, non leggerlo. Non dargli peso e considerazione.

C'è stato uno status di Facebook che mi fece sorridere lo scorso ottobre dopo l'esordio di Orfani in edicola. Mi dispiace non averlo copiato (perdendone così anche la fonte) ma - proprio riferendosi alla nuovissima serie Bonelli e alla totale copertura mediatica che quel giorno sembrava avergli dedicato il web - recitava più o meno: «Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo lo chiama farfalla. Quello che per il mondo del fumetto oggi sembra la Rivoluzione, per il resto del mondo non è nemmeno tra i primi dieci trend topic di Twitter»

Questo per dire com'è comunque soggettiva la PERCEZIONE che un determinato/specifico settore può avere del web. Per dire che - quel giorno - in prima posizione su Twitter (si, ero andato a controllarlo) mi pare ci fosse l'hashtag #moreno di Amici di Maria De Filippi!

Notate bene che fino a qui non ho ancora parlato dei contenuti di questa serie (e tra l'altro nemmeno lo farò). Allora perché, arrivati a questo punto, lo sto facendo notare nuovamente? Perché apro una seconda parentesi. Ecco perché.
Interamente dedicata agli autori.

Si, gli autori. Non i lettori, che ne fanno molto più semplicemente un questione mi piace/non mi piace. Gli autori, quelli che sin dallo scorso 16 ottobre stanno difendendo come non mai la bontà dell'operazione, partecipando (con un potere di ubiquità che peraltro mi meraviglia) ad ogni dibattito, ogni polemica, ogni flame che da due mesi e mezzo a questa parte infiamma il web e i social networks.
Difendendone ad ogni attacco (soprattutto nei luoghi non abitualmente dedicati al fumetto) la qualità eccelsa, i disegni straordinari, la colorazione senza precedenti e via dicendo.

Cito a memoria anche uno status FB di Luca Bertelé (che ora non mi va di andare a cercare, ma c'è) in cui diceva più o meno: «Ma è possibile che certa gente non capisca quante nuove opportunità per il fumetto italiano possa aprire il successo di Orfani?»
Potrei andarle a pescare una ad una, certe affermazioni degli autori.
Se ne avessi più voglia e più tempo. Fidatevi.

La cosa che in assoluto mi è saltata più all'occhio in questi due mesi e mezzo, è stato proprio questo schieramento compatto degli autori intorno ad Orfani. Uno schieramento che non ammette replica o dibattito. E' uno scatto automatico, un serrare i ranghi.
E ci può stare, ci mancherebbe: amici degli amici. Amici degli amici degli amici. Grande affetto. Grande stima. Massimo rispetto. Faremo grandi cose, fratello. Anzi sei più di un fratello nella notte, bro!
Dove sto andando a parare?

Che nel 99% dei casi l'argomentazione si basa sulla qualità eccelsa, sui disegni straordinari, sulla colorazione che non ha precedenti, sulla grande operazione di rinnovamento della Bonelli, sul prezzo tutto sommato contenuto (per noi che conosciamo certe dinamiche produttive), sui volumi deluxe che ne farà la Bao Publishing, sulla strada che può effettivamente spianare il successo di questa serie.
Ma nel 99% dei casi suddetti autori omettono i contenuti. Sembrano sorvolare. Preferiscono non parlarne. Non si esprimono mai sulla storia vera e propria.

Di fonte a lettori e/o detrattori che magari - da appassionati cresciuti a pane & fantascienza - ne contestano il visto e rivisto, la Fanteria dello SpazioHalo, il Signore delle MoscheCapitan Power e chi più ne ha più ne metta, essi rispondono sempre riportando l'attenzione ai disegni, alla colorazione, al prezzo, al rinnovamento, alle nuove opportunità che si aprono.
Eppure ne avessi sentito uno - e dico uno! - che abbia detto chiaro e tondo che 'sta storia è una figata assoluta!!!

Nemmeno Ottokin che ne cura la grafica o Gud che gli dedica pure le sue spiritose tavole mensili. Nemmeno nessun altro (e nemmeno nelle recensioni). La storia sembra un argomento tabù. Però «che disegni, che colorazione, che prezzo, che rinnovamento, che opportunità per il fumetto italiano!»
Si, d'accordo. Ma il plot, la trama, i dialoghi, l'impianto narrativo, lo storytelling: allora, colleghi tutti riuniti… Orfani è una figata oppure no?
E sia chiaro che ve lo sto chiedendo davvero.

Beh, abbiamo capito: è una grande opportunità per il fumetto italiano. E grazie al cazzo, ma guarda un po'.
Quindi perché non diciamo le cose come stanno, visto che anche un Mauro Uzzeo è capace di invocare "onestà intellettuale" quando si tratta di chiederla ad un certo "giornalismo serio"?

Allora diciamolo con la stessa onestà, dai.
Perché anche se la storia - da autori, scrittori e/o sceneggiatori - non vi avesse esaltato granché (o vi avesse addirittura fatto cagare) GUAI ad esternarlo esplicitamente con il rischio che possano stranirsi Roberto e/o qualcuno in Bonelli… mmmh?
Guai a correre anche la minima possibilità di "inimicarseli" in qualche modo, perché il 99% di questi autori - augurandosi che Orfani abbia successo e faccia davvero da apripista - sta già preparandosi sul desktop il suo progettino per la prossima serie da proporre a via Buonarroti ;)

Eh, eh, eh... #daje

Ognuno si coltiva il proprio orticello, miei cari.
Ed è più che legittimo, ci mancherebbe!
Ma se quelli di FdA lanciano inutili badilate di merda (lo abbiamo detto) la schiera compatta di autori che difende Orfani può davvero dire di farlo con onestà intellettuale? O sta semplicemente evitando qualsiasi possibile conflitto con chi domani potrebbe dargli da lavorare?
#solodomande

Ora finalmente vengo a me.
A me che acquisto Orfani, mese dopo mese.
Io che non sono un abituale lettore Bonelli. Io che non sono nemmeno un gggiovane e non sono mai stato un videogiocatore.

Vado nuovamente a memoria: un paio di mesi fa, sempre il buon Uzzeo - scrivendo tra i commenti di uno status che aveva pubblicato Alessandro Di Virgilio (che dovrei nuovamente andare a cercare, ma non ne ho nuovamente voglia) - scriveva qualcosa sul fatto che certe considerazioni e/o certe critiche (in quel momento riferite a dei dati di vendita sbandierati come un fallimento) andrebbero argomentate maggiormente, altrimenti restano sterili allusioni di poco valore.

Bene, chissà se sto argomentando sufficientemente?
Intendo: se questo grande esperimento editoriale nasce con l'intento di aprire nuovi segmenti di target, andando a scovarli tra i "giovani" e i "videogiocatori", non sarà che - da questo punto di vista - ai giovani e ai videogiocatori continua a non importagliene una sega dei nostri amati fumetti?

Si è parlato di un venduto di circa cinquantamila copie.
Che per quanto mi riguarda sono un botto!!! Tanto più in un Paese i cui abitanti leggono sempre meno.
Cinquantamila copie? Tanto di cappello, signori.

Ma probabilmente sono cinquantamila persone che leggono già abitualmente fumetti.
Sono più o meno i lettori che concorrono abitualmente ai numeri della Bonelli.
Magari qualche lettore nuovo c'è, come me (che ai fini di una statistica Bonelli, in fondo sono effettivamente "nuovo"). Ma non giovane. E non videogiocatore.
Magari uno che ne sa qualcosa, questo si. Esattamente come il popolo che frequenta la rete, i siti dedicati al fumetto, i blog o le pagine social degli autori. Cioè un target (sul web, molto più esiguo di quel che si voglia credere) che CONOSCE GIA' il progetto, perché è quasi due anni che ne sente parlare. Che SA GIA' bene cosa sta per uscire, chi è che lo scrive, chi è che lo disegna, di cosa tratta, etc. Ma sono comunque lettori che - nonostante la straordinaria campagna promozionale che è stata fatta - non arrivano da nuovi segmenti o da altri mercati.

Ecco: da questo punto di vista, secondo me ha molto più senso uno stand Bonelli/Multiplayer al Salone del Libro di Torino, dove puoi intercettare un lettore adulto, curioso, magari già orientato alla fantascienza, che non lo stesso stand all'Area Games di Lucca, dove alla fine della fiera (in tutti i sensi) al giovane/appassionato videogiocatore incallito del tuo fumettino tutto a colori gli frega poco o niente!
Mi perdoni Diego, ma è un po' come illudersi di andare a trovare nuovi lettori tra i cinesi di via Paolo Sarpi.

Che vuol dire? Che il target di Orfani - così come quello di Long Way - siamo sempre noi, cioè quelli che leggono già i fumetti. Fine della storia.

Concludendo: difficilmente diventerò un lettore di Tex, di Zagor o quant'altro. Ma sto leggendo e continuerò a leggere Orfani, così come qualche altro speciale Bonelli. Che già di per sè implica un grande cambiamento personale. L'abbattimento di molti pregiudizi. E per uno come me - credetemi - non è affatto cosa da poco.