domenica 28 marzo 2010

Stronger with each tear.


Mary J Blige: "Stronger with each tear"
(Geffen/Universal).


Arrivate ai quaranta o giù di lì, per certe artiste - anche con una carriera da fuoriclasse alle loro spalle - sembra sopraggiungere quello che io definisco il "rincoglionimento danzereccio", come fosse una sorta di liberazione da chissà quale frustrante etichetta portata sulle spalle (e poi dicono che la senilità sia prerogativa maschile); un po' come Toni Braxton, o meglio ancora come Madonna da qualche album a questa parte. Che poi certa critica musicale ce la voglia far passare come roba elettronicamente colta, come dance intellighente, per me son tutte cialtronate da aperitivo, e resta solo unz unz troppo furba.

Ad ogni modo, Mary J - che già da tanti anni si fregia del titolo di Queen of hip hop/soul - dovrebbe stare attenta a fare certi passi. Che a rubarle quel trono ci vuole poco, se tra i ranghi delle sue colleghe più giovani escono dischi come l'ultimo di Alicia Keys (e senza nemmeno bisogno di andare a scomodare artiste del calibro di Erykah Badu o Jill Scott, che finora album esplicitamente COMMERCIALI come quello della nostra cara "Regina" non ne hanno mai fatti!).

Le avvisaglie di una possibile delusione le avevo percepite - ahimè - proprio qui in Italia.
Come assistere all'esibizione totalmente fuori contesto di colei che abbiamo sempre considerato un irraggiungibile mito afroamericano, una diva/divina che si sgretola sul palco dell'Ariston allo scorso Festival di Sanremo (e qualcuno mi dice anche al programma domenicale della Ventura, sigh!). Cornici talmente nazional-popolari che proprio nulla hanno di "divino". E' promozione, posso capirlo. Anche lei avrà i suoi problemi, la sua vita, le sue responsabilità, le sue persone da mantenere, le sue "bollette da pagare" (non solo metaforicamente); la verità è che probabilmente, quando IDEALIZZIAMO certi personaggi, non vorremmo mai vederli così esposti ai media di massa, così ordinariamente umani.

Tutto questo per dire che, nell'ascoltare "Stronger with each tear" (nono album in studio della performer newyorchese) tocca arrivare all'undicesima traccia prima di sentire qualcosa di dignitoso. Alla UNDICESIMA, capite? Non c'è la benché minima presenza di soul nei primi dieci pezzi, e - nonostante i featurings di will.i.am e T.I. o le produzioni di Darkchild e Ne-Yo - non ci sono nemmeno quelle matrici stilistiche proprie dell'R&B, se saltiamo per un momento il capitolo "Each tear" e chiudiamo un occhio sulla insipida "I am" (che - se non ci fosse bastata l'abbuffata di dance/house - alla fine viene riproposta come bonus track in chiave ultradiscotecara!).

Per ritrovare la Mary J che amiamo, tocca arrivare a "Stronger", che peraltro - a volerla dire tutta - è stata scritta ben prima dell'album per la colonna sonora di "More than a game" (un film/documentario sulla vita del campione dell'NBA LeBron James, diretto da Kristopher Belman). Seguita subito dopo dalla bella "In the morning" e soprattutto da "Color"***, unico grande picco del disco, vero soul di prima classe (che non a caso porta la firma di Raphael Saadiq) dove finalmente il termine Regina riassume il suo senso, dove la voce della signora Blige - calda e roca come non mai - sposa alla perfezione un raffinatissimo tappeto sonoro permeato di chitarra blues e delle note di un Hammond lontano.
Ma accidenti, può bastare una tripletta del genere a salvare un intero album?

*** Anche "Color" fa parte di una colonna sonora, cioè quella di "Precious" di Lee Daniels, recentemente vincitore di due premi Oscar (a breve anche in Italia distribuito dalla Fandango) nel cui cast compaiono anche Lenny Kravitz e Mariah Carey.

Bene. Riapriamo ora il capitolo "Each tear".
Fondamentalmente, si distingue per questa bella pensata del duetto con Tiziano Ferro. Si, esatto: proprio il "nostro" italico Tiziano Ferro (che non riesco a non immaginare entusiasta di cantare con uno dei suoi miti dichiarati, e buon per lui). Non che io creda che dietro a questa discutibile operazione ci sia il benché minimo interesse al mercato italiano e/o ai suoi fans, sia chiaro. Perché i numeri del mercato italiano, agli occhi di una major statunitense, fanno ridere. Questa operazione di cross-target è stata realizzata sulle edizioni internazionali dell'album nei diversi paesi in cui viene pubblicato/distribuito. Nel Regno Unito, ad esempio, il duetto è con Jay Sean. In Australia, con tale Vanessa Amorosi. L'edizione italiana sforna Ferro, ma resto dell'idea che un duetto del genere è stato ideato maggiormente per l'enorme bacino latino-americano, dove Tiziano è una vera e propria star, capace di superare tranquillamente il milione di copie. E allora, dato che non salviamo nulla, aldilà del suo pessimo cantato in inglese (ai livelli delle musicassette con le lezioni di inglese the pen si on the table) a questo punto quelle quattro orribli rime baciate che chiudono il pezzo forse era meglio se le "rappava" in spagnolo, visto che in italiano non si possono davvero sentire (all'interno di un disco della Blige, poi). Infinita tristezza.

E veniamo infine a "Stairway to Heaven", che chiude il disco
Ma - volendo - allo stesso modo anche a "Whole lotta love", che lo apre.
Ed è qui che mi chiedo: PERCHE' la nostra cara Mary Jane (o qualche discografico della Universal per lei) ha deciso di aprire e chiudere l'edizione internazionale del suo nuovo album con due brani dei Led Zeppelin? Che senso ha? E anche avesse un senso, perché allora non è stato fatto per l'edizione americana***?
Risposte alle quali non avremo mai un risposta, temo.
Stendiamo un velo pietoso sulla versione dance di "Whole lotta love", che è meglio.
Parliamo solo di "Stairway to Heaven", allora. Uno standard, d'accordo. Probabilmente la più bella canzone del XX° secolo.
E Mary J la canta davvero bene, su questo non discuto, ci mancherebbe. Ma risulta un puro esercizio di stile fine a se stesso. Anche perché (A) la scelta di per se stessa è di una banalità assoluta e (B) se ho davvero voglia di riascoltarla, allora vado a risentirmi quella originale dei Led Zeppelin, no?
Insomma: otto minuti e mezzo assolutamente INUTILI all'economia del disco.

*** L'edizione americana include ben tre tracce non presenti in quella internazionale, cioè "Said and done", "We got hood love" e "Kitchen", oltre alla versione originale di "Each tear" (che sarebbe anche un bel pezzo, diciamolo) senza inutili featurings locali. Se aggiungiamo che la genialata delle due cover dei Led Zeppelin è esclusivamente per l'edizione internazionale, allora - se qualcuno di voi avesse comunque intenzione di acquistare il nuovo album di Mary J (e ancora non l'ha fatto) - forse farebbe meglio ad ordinare l'edizione USA tramite il web o i negozi che trattano l'import.

In conclusione: il peggior album che Mary J Blige abbia mai pubblicato in diciotto anni di onoratissima carriera (considerando che, avendo la sua discografia completa, li ho sempre ritenuti tutti validissimi).
Il caso vuole che "Stronger with each tear" sia entrato dentro le mura di casa mia lo stesso giorno di "Plastic Beach" dei Gorillaz. E quella è tutta un'altra storia, ragazzi.
Tocca che mi metta a scrivere un pezzo su quel disco.
Così, magari, mi riprendo un po' dalla delusione.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

de gustibus non disputandum est, l'album di Mary j a me piace, tra sanremo e talent vari, una vera boccata d'aria, e vera gioa è stata l'altro giorno quando me la sono inaspettatamente ritrovata n.1 nei singoli in Italia e nuova entrata tra i CD, spero faccia lo stesso anche in latinoamerica, e se per questo dovremo ringraziare Ferro, ben venga, io sono fatalista, vuol dire che pure lui se lo merita. Ho un appunto però da farti, spero che tu non giudichi la musica di Mary J con lo stesso metro con cui giudichi l'accento di Ferro: mi sono informato, innanzitutto ho scoperto che ha una laurea di traduttore simultaneo di inglese e spagnolo che credo sia qualcosa in più di "the pen si on the table", quindi tanto scemo non dev'essere, vive da anni in Inglitterra e sopratutto dei miei amici di madre lingua inglese, a cui ho chiesto un parere, hanno riso di cuore di questa diceria tutta italiana che Ferro non sa l'inglese, per loro il suo accento e più che buono anzi..., quindi...spero che il tuo orecchio per la musica sia migliore di quello per le lingue straniere.

S3Keno ha detto...

il mio "orecchio", caro anonimo, è semplicemente quello di chi ascolta 'sta roba praticamente da sempre: "In each tear, there’s a lesson, makes you wiser than before, makes you stronger than you know (in each tear) brings you closer to your dreams, no mistake, no heartbreak, can take away what your meant to be"...

Le leuree in traduzione simultanea o il parere di fantomatici amici di madre lingua inglese (sai che credenziale!) non c'entrano davvero una cippa sul fatto che sui raddoppi di "mistake" o "heartbreak" - tanto per fare due esempi - la differenza fonetica tra Mary J e Tiziano è come minimo FASTIDIOSA!!!

Per quanto riguarda il valore del nostro caro Ferro, che considero una grande voce (mai detto il contrario), magari se rileggi il pezzo con meno stizza ti accorgi che ho scritto "buon per lui", nel senso che se lo merita pure.

P.S. = "latinoamericano" usalo preferibilmente come aggettivo, e casomai in una frase come la tua sostituiscilo con un "spero faccia lo stesso anche in sudamerica", no?
Tante care cose.

luca b. ha detto...

mary j mi piace molto, ma secondo me la canzone con ferro è una vera marchetta, come diceva ottokin qualche post fa. in ogni caso seguirò il tuo consiglio e probabilmente acquisterò l'edizione amercana del suo nuovo disco.

luca.