Alicia Keys: "Girl on fire"
(RCA/Sony Music).
Non cattura al primo ascolto il nuovo album di Alicia Keys.
Non come i suoi primi quattro, di cui ti innamoravi subito.
Lo avevo capito già dal lancio radiofonico del primo singolo, quel "Girl on fire" che titola anche l'intero disco, e che nonostante i ripetuti ascolti - nel vano tentativo di farmelo piacere a tutti i costi! - e nonostante la sua Inferno Version contenuta nel CD (con il featuring di Nicki Minaj che sembra esistere solo per fare inutili featuring, come Pitbull) continua a non convincermi, a non prendermi.
Eppure, saltando a più pari questo brano, cose buone ce ne sono eccome!
A cominciare dalla traccia di apertura - "De Novo Adagio" - con cui Alicia, come da tradizione, ci introduce seduta al suo pianoforte.
Seguita da "Brand new me", quasi un manifesto con cui si (ri)presenta al pubblico: una nuova Alicia Keys non solo nel taglio dei suoi capelli e nel suo essere donna/mamma, ma anche e soprattutto nel suono e nelle intenzioni: "E’ passato un po’ di tempo, io non sono più chi ero prima / Tu sembri sorpreso, le tue parole non mi bruciano più / Avevo intenzione di dirtelo ma penso sia facile da capire / Non essere arrabbiato, è soltanto il marchio della nuova me / Non essere cattivo, ho solo trovato il marchio della libertà"… "Bisogna intraprendere una lungo percorso per arrivare qui / Bisogna avere coraggio, e una ragazza coraggiosa ci prova / Bisogna inventare una scusa in più, e dire un bugia in più / Non essere sorpreso"…
Infatti alla terza traccia si decolla.
Se con un termine come rock progressivo intendiamo un determinato genere di rock anni '70 caratterizzato da grandi profusioni di tastiere, sintetizzatori psichedelici e batterie sincopate, per questa "When it's all over" bisognerebbe allora inventare un nuovo termine - progressive R&B? - perché la Keys (con la complicità di Jamie Smith) si lancia in una vera e propria sperimentazione sonora che lì per lì ti spiazza, ma più la si ascolta e più funziona. Davvero un grande pezzo, anche nella performance vocale. Che si apre ad un'unica concessione di dolcezza solo nel finale, con la voce di Alicia che parla con suo figlio Egypt (avuto nel 2010 dal marito Swizz Beatz, che peraltro nel disco produce la non memorabile "New day"). Certamente uno dei due momenti migliori dell'album.
L'altro, il secondo, è dato dal duetto con l'immenso Maxwell su "Fire we make", una down-tempo meravigliosa che ci proietta come per magia nelle atmosfere dei migliori dischi di metà anni '90, cioè lo stato di grazia dell'R&B americano (prima che si annacquasse realmente con il pop), quando durante/dopo l'ascolto di certi album nascevano bambini, come dice Irene.
Pezzo di grande eleganza ed intensità, insomma.
Che poi, leggendo le firme dell'intera tracklist, compaiono anche un paio di quelle vecchie volpi (geniali) della produzione anni '90, cioè Rodney "Darkchild" Jerkins per "Listen to your heart" e Kenny "Babyface" Edmonds per "That's when I knew". Non sarà propriamente un caso, no? Comunque sono entrambe assai romantiche.
Stupisce casomai di più la firma di Bruno Mars tra gli autori di "Tears always win", perché - per come conosco Mars - non mi sarei certo aspettato un pezzo così classicamente retrò, di sapore così sixties, quando la black music era davvero pregna di soul!
Notevole inoltre la presenza - da autrice - della giovane Emeli Sandè su ben tre pezzi, cioè la già citata "Brand new me" oltre a "Not even the King" (una ballad molto riuscita) e "101", l'ultima traccia del disco. Che oltretutto al minuto 4:29 nasconde anche una breve ghost track: un'Alleluja probabilmente superflua, ma non per questo meno suggestiva.
Non cattura al primo ascolto il nuovo album di Alicia Keys.
Ma è ugualmente molto bello: concedetevelo!
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