Ora
tocca fare un passo indietro.
In
fondo l'avevo anche annunciato, quando scrivevo “casomai ne parlerò direttamente con Claudio, quando si sarà meritatamente
riposato”… anche se a questo punto il Comicon
di Napoli (e questo
mio post che suscitò più di una polemica) diventa SOLO UN PRETESTO per
tornare a parlare di una mostra mercato di fumetti, di un malfunzionamento
organizzativo certamente migliorabile, della percezione della figura del
giornalista spesso così banalmente radicata – come stereotipo - nella gente
comune.
Perché
qui, oramai, non si tratta nemmeno più della prima testa di cazzo invasata che
scatta automaticamente all'attacco non appena gli si tocca un giocattolo che
neanche è il suo, o del commento di uno sconosciuto che però è piuttosto
emblematico di un certo/diffuso modo di pensare. No, la questione va oltre.
Perché se quel modo di pensare – o la percezione del pezzo scritto – poi ti
arriva a mo' di feedback anche da
altri autori, da gente che teoricamente ti è molto vicina, che ritieni colta e
preparata in materia, di cui hai stima, che - per età e/o per esperienza -
dovrebbe avere adeguati strumenti di lettura e analisi, allora c'è qualcosa che
non va.
Forse
proprio in chi scrive (quindi mi metto in discussione).
Forse
in una visione comunque DISTORTA a monte, prerogativa di tutti gli ambienti in
qualche modo “chiusi” alle realtà mediatiche che giocoforza li circondano, come
per esempio la stampa (anche se in quella specializzata si dovrebbe avere
maggiore fiducia).
Forse
per mille altri motivi legati in qualche modo al livore - si può dire “livore”?
- che un cattivo giornalismo (che poi sarebbe ben altro tipo di giornalismo) ha
seminato in loro. Chissà.
La
cosa comunque non sarà breve.
Quindi
chiunque non sopporta i post troppo lunghi è pregato di passare oltre, di
cambiare blog e (possibilmente) di non rompere i coglioni! Grazie.
Dunque:
tanto per cominciare, ho bussato alla porta di altri tre giornalisti, chiedendo
loro tempo e disponibilità su questi temi. Senza dare nulla per scontato,
compresa la loro eventuale partecipazione. Come fosse un invito, un gioco, una
provocazione. Bontà loro, all’appello hanno risposto tutti e tre: Riccardo
Corbò (TG3 Rai), Diego Malara (“XL” di Repubblica) e Alessandro
Di Nocera (Comicus.it, La Repubblica/Napoli).
Non
è mia abitudine circondarmi di sgherri, leccaculo o guardaspalle per dare forza
alle mie argomentazioni. Non mi piacciono quelle coorti accondiscendenti che ti
danno sempre ragione (da cui tra l’altro bisognerebbe diffidare), quindi
sappiate che non sono propriamente “amici miei” quelli che ho coinvolto. Buone
conoscenze, forse si. Ma nemmeno tutte. Mi interessava piuttosto avere delle
opinioni disinteressate da parte di alcuni professionisti, anche lì dove
fossero state molto diverse dalla mia. Di Nocera, per esempio, storicamente è
tutt'altro che un amico. Sempre gentile, siamo d’accordo, ma di certo una voce
con cui raramente sono in sintonia. Quindi non potendo sapere a priori quali
sarebbero state le loro risposte, potevo rischiare un effetto boomerang, poteva succedere di
ritrovarmi con interventi antitetici al mio, no?
Questo
per dire che qui si gioca onestamente, a carte scoperte, senza barare.
Allora
diciamo che il commento che segue abbia dato il via al tutto (anche se non è stato
così, vista la mole di mail, telefonate e chattate su Skype avvenute in quei giorni): “Mi
chiedo dove stiano lo scandalo, l'ingiustizia e il dolo? Da quello che ho visto
e capito nei vari report di siti e giornali, c'è stato un grosso afflusso di
persone e quindi suppongo anche di addetti ai lavori. Quindi davvero non
capisco perchè se un normale ragazzo come me - appassionato di comics e
cosplayer - può fare una fila di ore pagando il proprio biglietto, non potete
farla voi giornalisti, addetti ai lavori, amici degli amici? Fra l'altro voi il
vostro accredito non lo pagate nemmeno e questo già di per sé è scandaloso (la
Casta dei giornalisti scrocconi) e vi lamentate pure per la fila da fare o se
qualcuno vi passa avanti perchè magari conosce l'organizzatore? Siete penosi.”
Che,
letta così, può giusto far sorridere.
Ma
se poi anche un Ottokin (per dirne uno che posso permettermi di citare) mi dice
che - da lettore - anche per lui e per tanti altri il senso del pezzo era
quello del “giornalista scroccone che fa parte di una Casta, che non vuole
pagare il biglietto e si indigna pure se deve fare la fila”, allora ecco perché
TORNO sull'argomento, ecco il senso di questo passo indietro.
• Che poi (apro la prima parentesi) la cosa paradossale/divertente,
che in effetti nemmeno si capiva dal pezzo, è che io al Comicon AVEVO UN PASS DA AUTORE, non da giornalista! E già qui si
potrebbero aprire un mucchio di derive. Che però non aprirò. Evidentemente ha
ragione il buon Corbò quando mi dice “devi
ammettere che eventuali critiche sono dovute - come tu stesso hai detto - alla
tua non linearità nello scrivere il post. Metti in mezzo il giornalismo, quando
avevi il pass da autore”… ed è davvero così, accidenti :(
Allora è un bene mettersi in discussione.
Chiusa parentesi.
Torniamo
un po' a quel simpatico discorso sulla Casta.
Che
esiste eccome, nel giornalismo italiano. Ci mancherebbe che negassi una cosa
del genere. Ma su, ragazzi, ora parliamoci seriamente: la Casta a cui ci si
riferisce abitualmente è ben altra cosa, e non riguarda assolutamente il
giornalismo specializzato generalmente esercitato dai freelancer (tanto più quello sui fumetti, che conta meno di niente);
è un luogo comune sin troppo diffuso pensare che - nel momento in cui entriamo anche
solo nell’albo dei pubblicisti (un Ordine che peraltro il governo sembra voler
cancellare) - diventiamo automaticamente parte di una Casta, anche scrivessimo
sul giornalino parrocchiale!
La
Casta a cui solitamente si allude in termini mediatici è ben altra: è quella di
un Giornalismo (con la “G” maiuscola) a noi completamente estraneo, oltre che
irraggiungibile, fatto di grandi testate quotidiane nazionali, poltrone,
telegiornali e mega-inviati, contratti blindati in esclusiva, libri annuali in
uscita a Natale per i maggiori colossi editoriali, premi letterari e
quant'altro. Alla Bruno Vespa, per capirci.
E
non s'è mai visto un giornalista che si occupa di musica o fumetti finire in
giri, ambienti e salotti di quel genere! Tanto più quando si scrive su piccole
testate (locali o meno), sul web o su supporti altamente specializzati, che
spesso sono proprio l'antitesi di un certo tipo di stampa nazional-popolare.
Eppure
è così facile trovare “scandaloso” – s.c.a.n.d.a.l.o.s.o?!? - non pagare un
biglietto d'ingresso per una manifestazione alla quale si presume tu stia
partecipando per scriverne (che per un giornalista significa lavorare) invece
che voler leggere l’esternazione di un evidente disagio? Deve risultare sempre
così comodo – se non addirittura malizioso - voler spostare l'attenzione dal
vero obiettivo, vedendo il dito anziché la luna?
Se
decido di passare il weekend a Gardaland con
mia moglie e mia figlia, pago il biglietto e mi faccio tutta la fila che c'è da
fare. Ma se vado a Lucca, Napoli o Roma con un accredito professionale (che NON
E' un biglietto gratis) che peraltro mi è stato già confermato per mail, allora
ripeto che NON DEVO FARE LA FILA insieme a chi sta acquistando il proprio
ingresso!
E
se come a Napoli si crea - seppur involontariamente - un disservizio di quelle
proporzioni, HO TUTTO IL DIRITTO di scriverne, visto che ciò che faccio nella
vita è proprio scrivere. Il fine – si, il fine! - non è il semplice sfogo egocentrico
di una primadonna (che quelli li fanno già benissimo tanti altri) ma
“denunciare”, fosse anche con eccessiva foga, qualcosa che DEVE essere
migliorata nell'edizione successiva!
Ditemi,
allora: dov’è esattamente il punto in cui questo semplicissimo concetto non si
percepisce?
Non
c'è nemmeno da incazzarsi, lo so bene.
A
questo punto – come dicevo poco fa - preferisco sorriderne, visto che certe
“critiche” mi sono giunte da autori e/o gente che NON FA NEMMENO PARTE
dell'organizzazione, alla quale chiaramente si rivolgeva il mio post.
Mentre
chi invece ne fa davvero parte - tipo il suo direttore Claudio Curcio, per dire?
- poi mi scrive: “Caro Stefano, avevo
letto il tuo pezzo, leggo nevroticamente tutti i pezzi dopo il Comicon,
soprattutto quelli degli amici, perché so che le critiche che ci trovo sono
quelle più utili a migliorare. E sul tuo blog avevo notato, in mezzo ai
complimenti (grazie) la tua critica alla situazione degli accrediti, per la
quale avevi perfettamente ragione. La situazione ci è chiaramente sfuggita si
mano, e una cosa che funzionava benissimo fino all'anno scorso è stata gestita
davvero male! E sono d'accordo con te che passare gli accrediti sottobanco è
stato anche peggio. A questo punto direi che il perché di questo problema,
potrebbe essere oggetto di una chiacchierata di persona”.
Insomma,
vedete un po' voi.
E
in caso, anche non riusciste a vedere la pagliuzza nel mio occhio per la trave che
è nel vostro, fatevene una ragione.
• Ma prima di passare la parola ai miei colleghi (ben più
illustri del sottoscritto) apro la seconda parentesi: perché “noialtri
giornalisti scrocconi” possiamo pure ricevere un accredito stampa per una fiera
di fumetti, un concerto o per l'anteprima di un film, e possiamo pure ricevere
le copie omaggio di un fumetto, di un libro o di un album, ma -
deontologicamente parlando - ad OGNI accredito e/o copia omaggio dovrebbe poi
risultare un ritorno, cioè il pezzo scritto: la recensione, il reportage,
l'intervista o quant'altro. Solitamente rientra nei campi della promozione,
della copertura, dell’informazione. Qualcosa che in teoria è gestita dagli
uffici stampa di riferimento. Che se sanno realmente fare il loro lavoro (come
noi sappiamo fare il nostro) con l'andare del tempo dovrebbero ACCORGERSI di
quali siano esattamente i giornalisti sulle loro liste, con tanto di nome e
cognome, che - nonostante accrediti e/o copie omaggio - poi non ne scrivono
nulla, e quali invece siano quelli che producono un risultato in termini di
ritorno. Che guarda caso, è proprio la base su cui - nel tempo - ci si
costruisce la propria CREDIBILITA’, sapete?
Ecco il segreto dell’acqua calda.
Qualcuno, in realtà, arriva pure a criticare l’uso - anzi
“l’esibizione” - del tesserino all’ingresso delle manifestazioni. È sempre e comunque
preferibile la compilazione di una form
con la richiesta accredito tramite il web, ovvio. O la cara vecchia mail, con
la quale l’accredito ti viene confermato o meno. Ma se per Romics o per “Più Libri, più
liberi” (tanto per fare un paio di esempi) non esiste suddetta form, e la cassa accrediti stessa ti
chiede “in loco” il tesserino dell’Ordine per rilasciati il pass stampa lì sul
momento, beh… allora la scelta è dell’organizzazione, non del giornalista!
Visto che gli lascio il nome della testata per cui scrivo, i miei recapiti
telefonici, la mia mail, il mio sito e/o blog, etc. sarà casomai loro premura
vedere se ad ogni accredito concesso corrisponda un articolo, e casomai saranno
loro a decidere di NON accreditarmi l’anno successivo. Ma è così difficile da
afferrare?
Fine della seconda parentesi.
Allora,
se torniamo a parlare delle PERCEZIONE della gente comune (o meglio, del
pubblico pagante) mi chiedo: il giornalista che entra accreditato ad un fiera
di fumetto – lo stesso che poi ne farà effettivamente un pezzo e/o un servizio
- è solo un “giornalista scroccone” che appartiene ad una Casta?
Diego
Malara mi risponde: “Rischio di sembrare borioso, lo so, ma
credo che il fatto proprio non sussista. Come in ogni categoria professionale,
anche tra i giornalisti esistono gli “scrocconi”, anzi credo che nella nostra
categoria la percentuale sia persino più alta rispetto a molte altre. La
differenza sta tutta nella premessa: se un giornalista è presente ad un evento
perché deve produrre un servizio, allora sta lavorando. Ed è nel mutuo
interesse dell'organizzazione dell'evento stesso (che ottiene copertura), del
giornalista e della sua testata (che possono godere di una corsia preferenziale
e contenere così i tempi morti) e degli utenti finali che leggeranno il pezzo
(ai quali viene garantita un'informazione puntuale e tempestiva), che i
giornalisti entrino con un accredito. Certo, c'è chi sbandiera il tesserino
professionale ogni volta che si può ottenere un ingresso gratuito o una
riduzione, ma parliamo appunto di un'altra categoria di individui. Quanto al
discorso sulla “Casta”, credo che sia davvero poco applicabile a questo
contesto. La Casta esiste, ma ad essa non appartengono di certo i giornalisti
freelance che si accreditano per entrare al Comicon, né i blogger che coprono
l'evento. Non credo che sia questo l'argomento centrale di questa discussione,
quindi sul punto non mi dilungo. L'accusa in questo caso mi sembra più il
frutto della frustrazione derivante da una situazione fastidiosa (e, ammettiamolo,
non è mai piacevole vedere che l'ultimo arrivato “salta la fila”) più che da un
ragionamento lucido.”
Alessandro
Di Nocera mi risponde: “Nel caso delle mostre mercato del fumetto,
l’idea dei giornalisti/collaboratori di testata/addetti ai lavori considerati
come “Casta” fa semplicemente ridere. In pratica, se un visitatore “comune”
pensa che l’essere “accreditati” a una mostra mercato del fumetto rappresenti
automaticamente uno status symbol o una maniera di scroccare un biglietto
omaggio a fronte di coloro che invece entrano a pagamento, beh, sbaglia di
grosso.
Nel mio caso personale, oltre a curare
i reportage del Napoli Comicon per l’edizione partenopea de “La Repubblica” (e
in precedenza anche per Comicus.it) ho assistito gli organizzatori dell’evento
anche in altre occasioni (presentazioni, dibattiti, ecc.) senza pretendere
nessun compenso, ma per il semplice piacere di farlo, in quanto amici e persone
perbene. In generale, invece, posso dire che quegli addetti ai lavori, quei
giornalisti, quei collaboratori di testata che entrano accreditati creano quasi
in automatico movimento e fermento mediatico intorno a una manifestazione (Napoli
Comicon, Romics, Lucca). E quindi un ingresso accreditato rappresenta un’azione
doverosa, di galateo, buon senso e astuzia da parte degli organizzatori.
C’è anche chi si lamenta che gli
“accreditati” ottengono omaggi e sconti particolari dalle case editrici
presenti e che anche questo rappresenterebbe uno “scrocco”. Altra stupidaggine:
io personalmente ho ormai un nome e una credibilità tali che semplicemente
parlando bene di un volume in un topic di un forum di discussione (nemmeno una
recensione quindi) genero in automatico una decina di acquisti sicuri di
quell’opera (empiricamente certificato). Senza contare il numero di volte in
cui la posso citare e promuovere anche in pubblicazioni a tiratura medio-alta
(sta capitando con “Maledetti Fumetti!” della Tunué, per esempio, libro che sto
nominando in continuazione sul “Superman” della Mondadori). In generale, poi, un
editore SA a chi deve fare omaggio di un’opera. Il visitatore “comune” guarda,
però, tutto questo dall’esterno e non comprende, riducendo il tutto a un: “E
lui chi è più di me?”. Risposta: “Semplicemente uno che in quell’ambiente non
rappresenta un semplice fruitore, ma una persona che quell’ambiente è capace di
movimentarlo e legittimarlo”.
Tra l’altro, tornando allo specifico,
io la fila di un’ora e mezza non potevo farla perché soltanto mezz’ora dopo il
mio arrivo davanti alla biglietteria ero atteso per moderare ben due conferenze
attaccate l’una all’altra. I fratelli Cestaro non potevano farla perché
dovevano andare a disegnare allo stand Bonelli. Paolo Eleuteri Serpieri non
poteva farla perché era un ospite. TU Stefano Piccoli non potevi farla perché
sei un addetto ai lavori e sul Napoli Comicon avresti curato un reportage per
il tuo blog dando visibilità all’evento.
Eccetera.
Quello del ritiro degli accrediti ha
rappresentato DAVVERO un problema che correva il rischio di bloccare non solo
eventi, ma anche la credibilità del Napoli Comicon. Un problema che sicuramente
i validi organizzatori provvederanno a risolvere l’anno prossimo e che non ha
NULLA a che fare con le file sostenute invece dai “normali” visitatori”.
Riccardo
Corbò sceglie invece un'altra
strada. Non risponde direttamente alle mie domande, ma dribbla la questione
buttandola in caciara: “Io sono assunto
alla Rai, mi sono messo una sedia massaggiante alla mia scrivania, lavoro al
TG3, mi ci inviano diverse volte al giorno, ho il contratto blindato, quando
sono sceso a Napoli ho mangiato un paio di sere a scrocco alle spalle del
Comicon, in due eventi che non ho ben capito cosa fossero (ma si mangiava
gratis prima) mi sono pure rubato due bottiglie di vino che alla fine del
Comicon ho consegnato a Ratigher come premio popolare anti-Micheluzzi, mi sono
fatto regalare il catalogo della manifestazione e pure quello su Castelli, non
ho fatto la fila per il disegno di Finch e ho pure guardato, nella serata a
Castel Sant'Elmo, un paio di volte il sedere a Noemi! Quindi so che quando
scoppierà la Rivoluzione, sarò uno dei primi che andranno a prendere a casa per
impiccarlo per gli alluci. Ma so anche che me lo merito, quindi renderò in pace
l'anima a Odino.”
Va
da sé che gioca con il suo stesso “ruolo” giornalistico in bilico tra il
privilegiato e l’imbucato, strappa una risata fingendo di cazzeggiare (tutt’altro
che ingenuamente, conoscendo egli assai bene il peso dell’ironia) però poi alla
fine della fiera, su Napoli e da Napoli ha fatto circa 35 pezzi con video e
foto, dei quali un paio - oltre che sul sito del TG3 - sono andati anche in TV
al GT Ragazzi!!!
E
volendo potete trovare tutto QUI
Tornando
invece alle critiche mosse, è dunque LECITO poter lamentare un disservizio da
parte di chi - suo malgrado - è rimasto “intrappolato” in una situazione
assurda come quella creatasi al Comicon o alla fine quello che ne esce (per chi
poi legge) si riduce solamente ad uno sterile “elogio del giornalista che ha
diritto di entrare senza fare la fila fregandosene del pubblico pagante che
invece quella fila se le deve fare tutta”? E qual'è - se c'è - il limite delle
cose che possiamo legittimamente scrivere o non scrivere, senza risultare immediatamente
una categoria scroccona e privilegiata?
Diego
Malara: “È più che lecito lamentare il disservizio, che in
questo caso era legato alla gestione dei flussi attraverso i cancelli di
accesso e solo marginalmente aveva a che fare con i giornalisti in fila
(analoghe situazioni si sono verificate in passato anche a Roma). Diciamo che
questo è un po' un caso limite e questo ci porta alla seconda parte di questa
domanda: per come la vedo io, in buona fede si può dire tutto. Ma essere in
buona fede, quando si fa informazione significa innanzitutto non omettere
nessun dettaglio dei fatti e non perdere mai di vista l'obiettivo per cui ci si
trova in una determinata situazione: informare. Riportando il tutto alla
questione di cui si parla, visto che il tempo a disposizione è spesso il
peggior nemico di un giornalista, è impensabile trascorrere un'ora e mezza in
coda per poter accedere a “un'area di lavoro”. Ripeto: il giornalista “in
servizio” per me ha gli stessi diritti di un editore, un autore o un espositore,
perché offre un contributo professionale di cui tutti possono beneficiare.
D'altra parte però la linea che divide la “denuncia di disservizio” da un
attacco all'organizzazione basato su moventi puramente personali è molto
sottile. E la discriminante è, come dicevo all'inizio, la buona fede di chi
scrive.”
Eh
già, la buona fede ;)
Alessandro
Di Nocera: “Un addetto ai lavori, giornalista, collaboratore
di testata chiamato a OPERARE in vari modi all’interno o all’esterno di una
manifestazione, semplicemente NON PUO’ sostenere una fila di un’ora e mezza per
il ritiro degli accrediti. Perché è deleterio innanzitutto per la
manifestazione. Se mi blocchi i fratelli Cestaro, Stefano Piccoli ed Eleuteri
Serpieri e - perché no? - Alessandro Di Nocera che deve andare a moderare due
incontri in programma (per un’ora e mezza, sotto il sole, FUORI ai cancelli di
una manifestazione) vuol dire che l’organizzazione è fallimentare. Sta
bloccando persone che creano movimento mediatico e culturale intorno a quella
manifestazione. Punto. E se qualcuno pensa che questi “accreditati” compongano
una categoria “scroccona e privilegiata”, allora non ha il senso del ridicolo e
della misura.”
Credo
sia tutto.
Non
mi rimane che ringraziare Diego, Alessandro e Riccardo per la loro disponibilità.
E chiedere venia – mea culpa! - a tutti coloro che pagando un biglietto e
facendosi pure la fila, possano essersi sentiti offesi e/o sminuiti in qualunque
modo da alcune mie parole così saccenti, che probabilmente erano state espresse
in maniera caotica, risultando scritte da un giornalista che però era
accreditato come artista!
Perdonatemi
quindi, anche lì dove possa essere stato eccessivamente polemico, se il senso
del mio pezzo (scritto in buona fede, Diego?) era segnalare un problema “vergognoso”
con il solo scopo di MIGLIORARLO in futuro, affinché queste cose non accadano più
a me come a chiunque altro.
Cose
che peraltro alla fine ci riguardano un po' tutti, in termini di servizio e qualità
del nostro lavoro.
Ma
arrivati a questo punto, credo che l’unico che possa ancora aggiungere qualcosa
al riguardo - avendone tutto il sacrosanto diritto - sia solo Claudio Curcio,
che (con affetto e stima) invito ad intervenire nuovamente. Sempre che lo ritenga
necessario, beninteso.
Io,
stavolta, ho davvero finito.
2 commenti:
hey ste' ma hai fatto caso a come non appena, per la prima volta, tu abbia disattivato la possibilità di scrivere commenti anonimi, siano improvvisamente e magicamente scomparsi tutti i tuoi soliti stalkers abituali? ah ah ah ah :-)
e che te lo dico a fare?
Posta un commento